Noemi Riccitelli – “Si tratta di raccontare nuovamente una storia che si pensa di conoscere, ma che in fondo non si conosce realmente”.
Così il regista messicano Guillermo del Toro ha commentato la scelta di voler riportare sullo schermo una storia che di adattamenti ne ha conosciuti tanti, forse anche troppi, ma che come ogni favola che si rispetti preserva un valore unico che travalica il tempo.
Dunque, ecco che la scrittura di Carlo Collodi diventa nuova ispirazione, rinnovato materiale artistico e creativo.
Niente di più vero e adatto per questo Pinocchio di Guillermo del Toro (sì, il nome del regista è incluso nel titolo), con la regia di del Toro, appunto, e Mark Gustafson, che detiene in sé quella stessa devota e minuziosa artigianalità propria di mastro Geppetto, in quanto il film è stato realizzato interamente in stop-motion: una tecnica di animazione in cui non si utilizzano i disegni come base per l’animazione stessa, ma vere e proprie figure, modelli dei protagonisti della storia realizzati a mano, cui far prendere vita. Un’autentica perizia cinematografica.
Il film è disponibile dal 9 dicembre su Netflix e, da qualche giorno, è stato annunciato tra i candidati come miglior film di animazione per i Golden Globe 2023.
Geppetto (David Bradley) è ormai un vecchio falegname che vive in un piccolo paese della provincia italiana, in pieno ventennio fascista.
Sofferente e solitario, non ha ancora superato la morte del suo piccolo Carlo (Gregory Mann), avvenuta durante la Prima Guerra Mondiale.
Tuttavia, un giorno, in preda alla disperazione, decide di ridare vita a suo modo a Carlo, costruendo dal tronco di un pino, sorto accanto alla tomba del figlio, un burattino dalle fattezze di bambino.
Lo Spirito del Bosco (Tilda Swinton) dà vita al manufatto di Geppetto, facendolo nascere come Pinocchio, e affidando a Sebastian il Grillo (Ewan McGregor) il compito di guidarlo nella sua nuova esistenza.
Guillermo del Toro non è un neofita della narrazione favolistica: le sue precedenti opere, tra cui il film Premio Oscar e Leone d’oro La forma dell’acqua (The shape of water) del 2017, si nutrono del rapporto tra realtà e immaginazione, rendendo la narrazione poetica e affascinante, con un gusto estetico tutto particolare, voto al gotico, al misterioso.
Nel suo Pinocchio, nonostante la storia abbia la propria specificità, del Toro conserva i tratti distintivi della sua ispirazione, concedendosi diverse licenze artistiche, che tuttavia non denaturano il racconto, ma enfatizzano quei valori di cui la favola è latrice e per cui è universalmente riconosciuta.
Innanzitutto, la sceneggiatura (di del Toro e Patrick McHale) pone la vicenda nell’Italia fascista, proseguendo la linea narrativa dei precedenti film del regista La spina del diavolo e Il labirinto del fauno (ambientati durante il franchismo): un’ambientazione non arbitraria ma funzionale al tema principale del film, il rapporto tra padri e figli, e proprio il fascismo ha fatto del paternalismo il suo principio cardine, un’idea ordinatrice alla base dei concetti di obbedienza, ordine, rispetto.
La storia di Pinocchio è, infatti, il racconto di una paternità, persa e poi ritrovata, desiderata, ma del Toro rende la paternità di Geppetto anche imperfetta.
Nel suo Pinocchio, il regista rappresenta il falegname prigioniero del confronto tra il burattino e Carlo, il primogenito, pregandolo di essere come lui, come Geppetto lo vorrebbe.
Da qui, lo sviluppo ulteriore del tema dell’obbedienza e del rigore contrapposto all’originalità, all’unicità di sé stessi, al cambiamento di cui è rappresentante Pinocchio, che non vuole obbedire né alle regole imposte dalla società né a quelle che suo padre gli presenta, soffrendo per non essere compreso e accettato nel suo modo di essere.
Saranno, tuttavia, proprio il genuino amore e la sincera bontà che animano Pinocchio, ad orientare il suo destino e quello degli altri protagonisti, dimostrando il suo valore e la necessità di non tradire mai la propria natura, apportando beneficio agli altri per come si è.
Altro tema emergente dal film, tipico della poetica deltoriana è la morte, il lutto: il regista non la considera un tabù, nonostante si tratti di una favola, perché è ciò che la vita riserva in quanto esseri umani, anzi, essa è mezzo per apprezzare maggiormente i momenti di felicità e di condivisione.
Infatti, la perdita viene rappresentata con serenità e pacatezza, una fase necessaria dell’esistenza.
Questi ed altri temi si addentrano nella storia attraverso una sceneggiatura commovente e brillante, con battute che stringono il cuore dello spettatore, coinvolgendolo nell’intensità e tenerezza dell’intreccio.
Sentimenti che si ritrovano anche nelle melodie di Alexandre Desplat che ha curato le musiche, i cui testi sono scritti sempre da del Toro e Roeban Katz.
Da menzionare anche il cast di attori al doppiaggio, composto da talenti del cinema contemporaneo, per cui vale la pena guardare il film in lingua originale: i già citati David Bradley, Ewan McGregor, Tilda Swinton, ma anche Christoph Waltz, Cate Blanchett (inedita!), John Turturro, Ron Perlman.
Infine, come sottolineato in incipit, una particolare attenzione va data allo straordinario lavoro manuale compiuto dai tanti artisti e tecnici nella creazione di ogni dettaglio: il film è frutto non solo dell’ispirazione del regista, ma soprattutto delle mani di ciascuno di coloro che hanno portato letteralmente in vita la storia, dalle espressioni più impercettibili dei personaggi, fino alle decorazioni delle pareti di ogni interno.
Consigliata, per questo, anche la visione del dietro le quinte di 30 minuti Pinocchio di Guillermo del Toro: cinema scolpito a mano, disponibile subito dopo la visione del film stesso.
Pinocchio di Guillermo del Toro è un film così profondo e unico, il regista arricchisce la vicenda di un nuovo senso e la visione lascia lo spettatore appagato e grato.