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Commento al Vangelo, seconda domenica del Tempo ordinario: conoscere Gesù non è mai abbastanza

Commento al Vangelo, II domenica del Tempo ordinario - Anno A

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di Padre Giampiero Tavolaro
Comunità Monastica di Ruviano (Clicca)

II domenica del Tempo ordinario – Anno A
Is 49,3.5-6; Sal 39; 1Cor 1,1-3; Gv 1 29-34

Aleksandr Andreevič Ivanov, L’apparizione del Messia al popolo, 1837-1857, Mosca, Galleria di Tretjakov

All’inizio del tempo ordinario ritorna la figura di Giovanni il Battista, che ha accompagnato il cammino della Chiesa già al principio dell’Avvento, segno che l’“ordinario” non può essere considerato un tempo “debole” in opposizione ai tempi “forti”: tra i tempi liturgici vi è una profonda e intima continuità, per la quale, se i cosiddetti tempi forti costituiscono l’immediata preparazione o l’immediato effetto della celebrazione dei misteri centrali della fede cristiana, il tempo ordinario è il tempo simbolico del quotidiano camminare nella vita di ogni giorno; è il tempo in cui i misteri celebrati, contemplati e accolti devono portare frutti di salvezza e di novità di vita.

Il Battista, al principio di questo tempo, dice alla comunità credente una parola essenziale per il cammino dei credenti, chiamati a riflettere sulla propria conoscenza di Gesù, sulla esperienza viva che si è fatta di Lui. Se il Figlio di Dio è venuto nella storia per “evangelizzare” Dio, rendendo Dio una “buona notizia”; se Dio stesso, nel Figlio amato del Padre, si è messo dalla parte degli uomini e non ha temuto di mettersi in fila con i peccatori al Giordano, è questo il Dio che deve essere conosciuto e testimoniato, pena la costruzione e la trasmissione di una immagine di Dio non corrispondente a quella che Dio stesso ha inteso offrire di sé attraverso la rivelazione.

È necessario, dunque, che si verifichino (e non una volta soltanto!) la conoscenza che si ha di Lui, ma anche il coinvolgimento esistenziale con Lui, nella coscienza che il Dio della rivelazione biblica è il Dio della vita e in Lui la vita umana giunge alla sua pienezza e al suo compimento.

Dinanzi a Gesù bisogna crescere nella conoscenza, per testimoniare quanto si è conosciuto e questo è possibile solo in un vero ascolto della Parola, dal quale il credente è riportato a entrare in un permanente stato di discernimento, vale a dire in quella attitudine per cui, ascoltata la Parola, si giunge a comprendere quali sono i concreti passi da compiere nella propria vita e quali le prese di posizione reali (e non solo ideali) da assumere!

Dinanzi a Gesù si deve fare la fatica di una conoscenza che non è mai esaustiva, ma che resta sempre aperta a un “oltre”. Di tutto ciò è icona potente Giovanni il Battista: egli già conosceva Gesù (il quale era un suo discepolo, se, come dice il Quarto vangelo, Gesù stava “dietro” a Giovanni), ma ha dovuto accettare di non conoscerlo appieno nella sua identità di rivelatore del Padre; ha dovuto ammettere la propria conoscenza imperfetta di Lui… Giovanni ha dovuto anche capovolgere il suo ruolo di maestro, facendosi egli stesso discepolo del suo discepolo: «Dopo di me viene uno che è avanti a me». Ciò è stato possibile perché Giovanni è un uomo che sa ascoltare e solo l’ascolto è in grado di aprire a una conoscenza ulteriore: l’ascolto, tuttavia, è vero quando avviene in un cuore povero, accogliente, capace di farsi sovvertire da Dio.

Dinanzi a Gesù risulta dannosa qualsiasi conoscenza che presuma di essere troppo certa e che, in quanto tale, rischia di ingabbiare Dio e l’evangelo, riducendo Cristo a risposta alle nostre attese. Gesù, invece, è Colui che suscita domande in chi riconosce in sé una sete di infinito alla quale si sente e si avverte che nessuna creatura può rispondere mai pienamente: Gesù risponde a questa sete, non esaudendo tutte le attese singolarmente considerate, ma suscitando un’attesa ben più radicale e mai del tutto colmabile, quella di crescere nella conoscenza di Lui e del progetto del Padre.

L’unica certezza sulla quale poter contare, dunque, non è quella di una conoscenza piena ed esaustiva, ma quella di averlo incontrato e di essere disposti, in forza di questo incontro personalissimo, alla ricerca dell’ulteriore e del sovversivo, in una vera apertura a un conoscere che mai dovrà essere sazio.

Una tale conoscenza sarà forse “precaria” e “provvisoria”, ma non “debole”, perché fondata sull’inesauribile profondità del mistero che indaga e nel quale consente all’uomo di immergersi: una tale conoscenza renderà la testimonianza del cristiano credibile, perché fondata non sulla “sapienza” dei propri ragionamenti e discorsi, ma sulla potenza della Parola e della rivelazione di Dio.

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