Noemi Riccitelli – Ad un certo punto del film, c’è una polaroid bianca che, a poco a poco, vede definire i tratti dei suoi soggetti, fino a renderli visibili del tutto: sono Calum (Paul Mescal) e Sophie Paterson (Frankie Corio), padre e figlia che sembrano quasi fratello e sorella.
Aftersun, opera prima della regista e sceneggiatrice scozzese Charlotte Wells, è proprio come quella polaroid presente nel film: un ricordo, la memoria di una vacanza estiva di un giovane padre con sua figlia, che va a riprodursi venti anni dopo grazie alle registrazioni un po’ maldestre e sgranate di una vecchia Panasonic.
Il film, dopo essere stato presentato a Cannes nel 2022, dove ha ricevuto il Premio della Giuria “French Touch” alla Settimana della Critica, e l’anteprima italiana alla Festa del Cinema di Roma, nella sezione autonoma Alice nella Città, è arrivato nei cinema, in sale selezionate, e in esclusiva su MUBI (piattaforma di film d’autore) dal 6 gennaio.
Inoltre, lo scorso martedì 24 gennaio, il protagonista Paul Mescal è stato annunciato tra i candidati come Miglior attore protagonista ai prossimi premi Oscar.
Anni ’90. Calum e Sophie sono in vacanza in Turchia: tra escursioni, cene e chiacchiere, si godono il tempo da trascorrere insieme. Infatti, Calum non vive più con la madre di Sophie e la vacanza estiva è per loro un momento di vera condivisione e conoscenza.
Tuttavia, non tutto è idilliaco come appare: Calum sembra provare una profonda inquietudine e insoddisfazione personale, nonostante cerchi di fare sempre il meglio per sua figlia.
Sophie, dal canto suo, undicenne vispa e sensibile, abbraccia le piccole-grandi nuove esperienze che il soggiorno le offre, non comprendendo a pieno gli umori del padre, ma stimolandone sempre i pensieri e la vicinanza reciproca.
È difficile esprimere un giudizio su una visione così intima e delicata: Aftersun, infatti, è ispirato in parte ad alcune vicende personali della regista, come da lei stessa dichiarato, e la materia emotiva permea la pellicola in ogni fotogramma.
La sceneggiatura, curata da Charlotte Wells stessa, delinea un lessico familiare essenziale, che più della parola è composto da un alfabeto di dettagli, gesti semplici, che sprigionano al tempo stesso genuinità, intensità, ma anche tensione.
Aftersun squarcia l’animo dello spettatore e ne fa uscire forti emozioni contrastanti, che sono abbracciate e interpretate intensamente dai due soli, giovani protagonisti: Paul Mescal, noto soprattutto al pubblico per il suo ruolo di Connell nella trasposizione seriale omonima del romanzo Normal People di Sally Rooney, e Frankie Corio, giovanissima al suo esordio di attrice.
Mescal, che per questo ruolo ha ricevuto la sua prima candidatura all’Oscar, è un padre che compiuti trent’anni si trova ad essere insoddisfatto di sé, confuso, in alcuni casi anche in imbarazzo dinanzi alle domande ingenue della figlia, che infrangono quell’armatura di certezze e solidità che si è costruito appositamente per stare con lei.
La sua interpretazione non è, tuttavia, esasperata: lo stato del protagonista si manifesta per sottrazione, emerge in modo mitigato, attraverso espressioni del volto, battute, gesti che non esplodono mai, ma si fanno tali in progressione.
Alcune delle scene più belle che lo riguardano sono quelle che si soffermano sulla premura nell’occuparsi di Sophie nella sua quotidianità.
La giovanissima Corio, invece, dà carattere e maturità alla sua Sophie: osserva con curiosità e immenso affetto il suo papà, ma il suo è anche lo sguardo sveglio già proiettato all’adolescenza, alla voglia di scoperta e di nuove esperienze.
Sguardo che diventa, poi, serio e malinconico, quando da adulta (Celia Rowlson-Hall) cerca nella rievocazione di quella vacanza le intime ragioni di un’evocata assenza del presente che vive.
Nel complesso, Aftersun è certamente un film di ispirazione unica, non adatto alla canonica distribuzione cinematografica, riservato ad un pubblico di sensibilità ed empatia, che tuttavia, inaspettatamente, può dire tanto a molti.