Gigliola Alfaro – Marco Mengoni con la sua “Due vite ha trionfato al 73° Festival di Sanremo, seguito da Lazza (“Cenere”) e Mr. Rain (“Supereroi”). Un Festival, per certi versi, di record, come la prima volta di un presidente della Repubblica alla serata di apertura, anche se per poco tempo, ascolti buonissimi, ma, per altri, di dubbio gusto. E soprattutto un messaggio che è passato non proprio rassicurante, come ci spiega Adriano Fabris, professore di Filosofia morale e di Etica della Comunicazione all’Università di Pisa.
Professore, cosa l’ha colpita di questo Festival 2023?
È un Festival sempre più ipertrofico, sempre più esagerato, dura fino a ore incredibili, si moltiplica con un pre Festival e un post Festival, c’è la nave e il palco in una piazza, ci sono i social. Sembra che voglia ingoiarsi tutto il mondo in una settimana, un Festival bulimico direi quasi.
In una kermesse così congegnata la musica non rischia di non essere più protagonista?
Sì, la canzone è ormai un pretesto. In relazione proprio a questo atteggiamento bulimico, esagerato, esasperato che il Festival ha assunto, Amadeus non può che alzare la posta di puntata in puntata, di anno in anno: la posta è lo share, che non aumenta con delle canzoni più o meno belle, ma con dei “casi”. Amadeus cerca dei modi per coinvolgere l’attenzione di sempre più telespettatori. Il Fanta Sanremo è stato quest’anno un modo per ottenere l’attenzione delle generazioni più giovani. Sono tutti espedienti per la rincorsa al sempre di più. Un Festival di crescita costante, capitalistico è lo specchio di questa impostazione. Vorrei vedere dove si arriverà perché, anche se si raggiungeranno tutti gli italiani, nel nostro Paese o all’estero, che possono essere spettatori, a un certo punto, non ce ne saranno di nuovi da aggiungere, allora inizierà la decrescita. E cosa succederà: licenzieranno Amadeus perché non è in grado di aumentare ulteriormente lo share? Cercheremo il collegamento con i marziani perché anche loro diventino spettatori di Sanremo? È una logica perversa.
Secondo lei, in questa “logica perversa” si inscrive lo scandalo tanto ricercato? Ad esempio, la scenetta volgare che ha visto protagonisti Rosa Chemical e Fedez…
È qualcosa di voluto, come il dare i calci ai fiori di Sanremo, nella prima serata, di Blanco sul palco dell’Ariston. Anche per Rosa Chemical e Fedez c’è la ricerca dello scandalo. La ricerca dello scandalo e il modo in cui lo scandalo viene trovato per creare il caso, all’interno della logica dell’audience, sono un “sintomo” da approfondire. Quello che hanno rappresentato Rosa Chemical e Fedez ha scandalizzato non solo buona parte dei telespettatori, ma la stessa Chiara Ferragni, che stava sul palco e non è rimasta molto contenta della scenetta, e sua madre, che era tra il pubblico in platea. Quindi, lo scandalo ha sempre degli effetti collaterali che possono non essere previsti e possono offendere anche chi non si vorrebbe offendere facendo lo scandalo. Il secondo aspetto da rilevare è che quest’anno non si è cercato lo scandalo, provocando direttamente la Chiesa cattolica con degli attacchi al cristianesimo. Non so se questo è un bene o un male, cioè se questo vuol dire che c’è un po’ di disinteresse e non importa più una reazione, perché i cattolici non sono più rilevanti e ingoiano ormai tutto, o un segno di rispetto riacquisito. Mentre la presenza del cristianesimo c’era perché ad esempio in una delle serate Colapesce aveva una bella croce in vista, poi i Depeche Mode, nella finale, hanno cantato “Personal Jesus”, che, pur nell’ambiguità perché non si sa bene chi sia “Personal Jesus”, può essere anche una figura trascendente, le parole della canzone possono anche essere interpretate in un senso di spiritualità. Quindi, contro il cristianesimo non c’è stato un attacco esplicito nel Festival, com’è successo in passato, ad esempio con la corona di spine in testa a Fiorello nell’esibizione con Achille Lauro, nel 2021.
Lo scandalo creato ad arte da Rosa Chemical e Fedez, quindi, non è un’offesa ai cattolici?
Lo leggerei in un senso più ampio. Ed è l’aspetto più rilevante del messaggio che, complessivamente, il Festival 2023 ha voluto veicolare. Innanzitutto, chiediamoci: il Festival costruito da Amadeus è lo specchio della società o un modello che vuole veicolare per la società? In realtà, tutte e due le cose in un reciproco rimando: per cogliere l’audience bisogna rispettare la società e poi ridare alle persone una serie di modelli ulteriori, alcuni dei quali soltanto rafforzati. Qual è il modello che è stato veicolato quest’anno? È sostanzialmente quello che nelle “prediche”, da Chiara Ferragni a Paola Egonu e Chiara Francini, si può riassumere così: “Sii quello che sei, non adattarti alle situazioni, non cercare di modificarti o di migliorarti, se sbagli, non modificare quello che sei per interagire meglio con il mondo, con gli altri, semplicemente esibisciti per quello che sei”. Nella logica del testimonial senza pudore che rivendica il diritto di fare qualcosa va riletta anche la non “meravigliosa” performance di Rosa Chemical con Fedez.
Ma non pensa che molti possano essersi scandalizzati della scenetta?
Se il Festival vuole davvero tenere assieme, per l’audience, le varie generazioni, la performance di Rosa Chemical non è andata in questa direzione perché ha scandalizzato una parte di telespettatori. Stesso discorso per le provocazioni Fedez nei suoi interventi. In realtà, se davvero si vogliono tenere insieme tutti quanti, ci vorrebbe anche rispetto.
Quindi, alla fine per il desiderio di “inglobare tutto” si è esagerato…
Sì. D’altra parte, perché si è insistito tanto sul discorso della fluidità, in cui anche la scenetta di Rosa Chemical si è inserita? Non dimentichiamo che i Cugini di Campagna sono stati i primi, in un momento in cui cambiava la figura del maschio, a cantare in falsetto e non è un caso che i Cugini di Campagna abbiano avuto uno spazio in questo Festival. Il progetto della fluidità era già volutamente impostato e progettato in questo Festival, perché è il simbolo, l’espressione più piena di ciò che è stato veicolato, in altri terreni, dalle prediche delle cosiddette co-conduttrici. Non è un discorso solo di oltraggio al pudore, c’è qualcosa di più profondo, una mentalità che viene passata come modello per la società: ognuno fa quello che gli pare, nessuno decide chi è e che cos’è, ognuno può fare tutto senza limiti, ha il diritto di farlo, se c’è qualcuno che si scandalizza poco importa. Su questo terreno il sesso è la modalità più immediata, comprensibile anche per immagini, in cui questa mentalità si può realizzare. Chi propugna questa mentalità individua anche il “nemico” che ostacola questa rivendicazione – da non confondere con la libertà – del diritto per ciascuno di fare quello che gli pare, senza decidere e senza responsabilità per le conseguenze della propria azione: è la “società”, citata da Ferragni nel primo monologo e contro cui si è scagliata Egonu. La società, cioè tutti e nessuno.
Ci sono dei rischi rispetto a questo modello offerto al Festival?
A Sanremo 2023 è stato veicolato un atteggiamento che rischia di far andare in direzione sbagliata la nostra convivenza civile. Una volta si parlava di cattivi maestri: Amadeus è stato un “cattivo maestro” perché ha pianificato tutto questo in nome del “dio audience”. Il problema ce l’ha detto Chiara Francini, in modo esplicito: rivendicare il fatto di non essere madre comporta anche conseguenze, ci sono anche il dolore, il senso di una mancanza, eventualmente una perdita di possibilità. Scegliere significa rinunciare a delle possibilità e assumersene altre che offrono altre opportunità. Chi è fluido non fa niente di questo, chi è adulto, invece, decide, si prende le conseguenze e si assume le sue responsabilità. Questo è stato un Festival di irresponsabili.
Nella sua riflessione non ha citato Francesca Fagnani con il suo monologo sui minori nelle carceri.
È l’unico intervento che salvo, ma temi importanti come questo sono stati messi in secondo piano nella kermesse.
Alle donne, co-protagoniste per una serata o due del Festival, è stato chiesto di fare un monologo, sembrava – al di là dei contenuti, condivisibili o meno – quasi un compitino da svolgere, come a voler dimostrare di avere qualcosa da dire per giustificare la presenza a Sanremo. Non è una visione riduttiva delle donne?
Assolutamente sì, diciamolo chiaramente, anche da una prospettiva cattolica, in cui il ruolo femminile è messo al centro senza che sia fuorviato o indifferenziato. In un Festival in cui sembrava che tutto dovesse essere rivendicato o messo sullo stesso piano, alla fine non era così. Si potrebbe consigliare ad Amadeus l’anno prossimo di farsi sostituire da una o due conduttrici e di trasformarsi in un “valletto” di una delle cinque serate. Come prossima conduttrice potrebbe essere scelta Luisa Ranieri che ha anche presenza scenica e brio notevole. Quest’anno al Festival le donne hanno avuto un ruolo secondario, alcune non riuscivano nemmeno in questo, s’impappinavano nel leggere i nomi degli autori delle canzoni. Le vallette di Mike Bongiorno avevano molto più spazio. Nel Festival anche Chiara Ferragni è stata normalizzata, soprattutto nell’ultima serata.
Cosa resterà del Festival 2023?
Si capisce, da questa prospettiva spettacolare, dove sta andando il nostro Paese e rispetto a questo possiamo anche dire che non è questa la direzione giusta perché non ci si pone il problema di com’è possibile la convivenza: se ognuno fa quello che gli pare rivendicandolo, senza autolimitazione, come avviene purtroppo già dalle scuole, e senza che si insegni la responsabilità di decidere e delle conseguenze delle proprie decisioni, il Paese non c’è più. E se l’Italia è quello rappresentata dal Festival di Sanremo è inutile chiamare il presidente della Repubblica nella prima serata a darne una garanzia perché il risultato, purtroppo, non è confortante. Rispetto a ciò tutte le persone di buona volontà s’impegnino, in maniera intelligente ed etica, a fare ciascuna la propria parte.
Fonte SIR