Alberto Baviera – “Oggi le possibilità di un dialogo sono molto fragili. L’unica speranza, seppur molto flebile, di poter avviare qualche forma di dialogo – ad oggi palesemente non cercato né dalla Russia né dall’Ucraina – può essere quella che dallo sforzo diplomatico escano Paesi che agli occhi dell’uno e dell’altro sono troppo compromessi. I russi ovviamente non si fidano degli Stati Uniti e dell’Ue mentre gli ucraini non si fidano di Paesi che hanno avuto relazioni di sostegno a Mosca”. Questa l’ipotesi che Fulvio Scaglione, per anni corrispondente da Mosca, ritiene più plausibile per cercare di porre fine alla guerra tra Russia e Ucraina, in corso dal 24 febbraio 2022. Ad un anno dall’inizio dell’invasione russa in terra ucraina, con il giornalista cerchiamo di tracciare un bilancio del conflitto e delle sue ricadute sul piano internazionale.
Trascorsi 12 mesi dall’inizio di un evento ai più incomprensibile, si è fatta maggiore chiarezza sul reale motivo per cui la Russia ha invaso l’Ucraina?
Non credo che ne abbiamo capito molto di più, fondamentalmente per due ragioni. La prima è che l’invasione di un altro Paese, soprattutto in un contesto europeo, è stata un atto così clamoroso e violento, quasi incredibile; ha assorbito l’attenzione e l’attenzione di tutti, giustamente. La seconda considerazione scaturisce dal fatto che l’invasione russa e la guerra che ne è scaturita sono il culmine di una progressiva crisi di rapporti geopolitici tra Russia e Occidente che si trascinava da decenni e attiene ai problemi derivati dalla fine dell’Unione sovietica e da come i vari attori sulla scena internazionale hanno vissuto quell’evento. Ma questo aspetto, molto ampio e di lungo periodo, non c’è dubbio che sia stato travolto dall’impatto non solo emotivo scaturito dall’invasione russa.
In questo anno di guerra, com’è cambiata la Russia?
Invadendo l’Ucraina ha visto culminare un processo in corso da tempo. Nel primo decennio di Putin al potere, la Federazione Russa è stata molto dinamica, impegnata nella ricostruzione della funzionalità, della potenza, della dignità internazionale e della solidità politica. Nei successivi 12 anni, la Russia ha vissuto una fase di estrema conservazione con una ri-statalizzazione dell’economia e una progressiva riaffermazione delle ragioni del nazionalismo. Oggi siamo di fronte ad un Paese nel quale la presenza dello Stato ha preso sempre più piede nella vita dei cittadini, dove vige la censura e l’economia è diventata un’economia di guerra nella quale il complesso militare industriale è l’oggetto di tutte le attenzioni possibili da parte dello Stato.
Specularmente, come si è trasformata l’Ucraina?
Anche qui ci sono stati cambiamenti e il Paese, sotto la spinta della guerra, ha visto degenerare certi processi già in corso prima del 24 febbraio 2022. L’invasione ha fatto nascere un nazionalismo che rischia di assumere, diciamocelo chiaramente, connotazioni estreme. Continua il perenne problema della corruzione che si trascina dall’indipendenza e quello della struttura di potere, di cui oggi si parla poco perché il Paese è invaso ma che nell’ottica di un ingresso nell’Ue è una faccenda seria. Di fatto c’è un uomo solo al comando che ha ottenuto il controllo totale del Parlamento e che è padrone del destino di chiunque nel Paese, tanto più con le leggi marziali. Il mantello tragico della guerra per il momento fa da giustificazione a qualunque cosa, ma prima o poi questo conflitto finirà. Tra l’altro, nel 2024 si dovrebbero tenere in Ucraina elezioni parlamentari e presidenziali; non è mica detto che ci saranno perché non è scontato che la guerra sarà finita o che, comunque, ci saranno le condizioni perché si svolgano.
Veniamo all’Europa, che da decenni non viveva sul proprio suolo un conflitto…
A dispetto dei proclami sulla ritrovata unità, personalmente ritengo che l’Europa uscirà fortissimamente indebolita dal conflitto, comunque andrà a finire. La spina dorsale non è più l’asse franco-tedesco, il motore di tutte le ultime decisioni è rappresentato dai Paesi dell’Est, del Nord e dai Baltici: ho molti dubbi che realtà molto legate ad un atlantismo molto spinto, caratterizzate da un’assoluta fedeltà se non subalternità agli Stati Uniti, siano la soluzione migliore per l’Europa di domani. La Germania, cuore economico dell’Ue, esce fortissimamente indebolita dal conflitto. Quanto poi successo a Ramstein, con il segretario della Difesa americano Lloyd Austin a dar direttive per tutti su ciò che andava fatto a sostegno dell’Ucraina, dimostra plasticamente il declino dell’Ue, che ha fondamentalmente abdicato a giocare un ruolo da protagonista in questa vicenda. D’altra parte, Francia e Germania sono state pesantemente implicate nei cosiddetti accordi di Minsk, e negli 8 anni a disposizione per ricomporre il conflitto nel Donbass – per stessa ammissione di Hollande, Merkel e Porošenko – hanno pensato solo ad armare l’Ucraina e aiutare il suo esercito a consolidarsi; scopo nobile e legittimo, che non ha favorito la composizione del conflitto deflagrato poi nella maniera che conosciamo.
Lungo questo anno ci sono stati timidi, e finora inefficaci, tentativi diplomatici per porre fine ai combattimenti. Ma a chi giova prolungare il conflitto?
In questo momento direi che le uniche realtà a trarre benefici – politicamente, economicamente e militarmente – siano gli Stati Uniti e la Nato, emanazione quasi diretta della politica americana. Paesi come Polonia e Regno Unito che sono ostili alla Russia, insistono sul proseguimento del conflitto per ragioni di politica nazionale. Di altri, personalmente, non ne vedo a trarne profitti. E quindi non vedo chi possa essere favorevole al proseguimento del conflitto. La Cina è certo un interlocutore ingombrante, perché sospettata di fornire armi alla Russia con cui è rimasta in buone relazioni economiche; ma Pechino mal sopporta la guerra perché questa ha sconvolto l’economia mondiale, il vero terreno su cui la Cina vuole combattere la sua battaglia. Alla Cina la Russia serve in chiave antiamericana sullo scacchiere economico globale, ma Mosca ha preso un’iniziativa militare che Pechino di certo non ama per niente.
Eppure si continua a combattere. E di negoziati non se ne parla più…
Il 24 febbraio l’Onu metterà ai voti una risoluzione per la pace che prevede, secondo le anticipazioni, il ripristino della totale integrità territoriale dell’Ucraina e, quindi, del ritiro totale della Russia dal Donbass e dai territori in cui oggi è militarmente e politicamente presente. Per le Nazioni Unite è un’ottima affermazione di principio, sacrosanto per le relazioni internazionali. Ma questa prospettiva, al momento, non è praticabile, per certi versi inimmaginabile. Un’ipotesi che si può concretizzare solo nel caso di un crollo militare e quindi politico totale della Russia. Per arrivare ad un accordo di pace che metta fine al massacro si deve spiegare chiaramente agli interlocutori che entrambi devono rinunciare a qualcosa. Altrimenti l’ipotesi di un proseguimento per lungo tempo della guerra con conseguenti massacri e distruzioni si fa sempre più concreto.
Cosa fare per scongiurare questo?
La speranza, molto debole, è che sullo scenario diplomatico – come sostenuto dall’economista americano Jeffrey Sachs – intervengano Paesi che non hanno né rancori né problemi sia con l’Ucraina sia con la Russia e che non sono coinvolti nel conflitto. Paesi economicamente emergenti e significativi dal punto di vista demografico come India, Sud Africa, Argentina, Brasile… Paesi che non fanno fronte comune – come avviene per la Ue, il Patto di Shanghai, la Nato… – ma singoli Stati che in questo momento per il raggiungimento di una tregua in Ucraina potrebbero mettersi insieme per svolgere un’azione diplomatica basata sulla loro non-partecipazione al conflitto, sul loro non-allineamento a nessuno dei Paesi impegnati nelle ostilità e sul loro crescente peso politico e demografico internazionale. A questo tentativo, però, non devono mettersi di traverso non solo Russia e Ucraina ma anche Usa e Ue perché altrimenti l’ipotesi svanirebbe molto rapidamente.
Fonte SIR