Si avvicina la data del 26 marzo, giornata per la Colletta nazionale promossa dai Vescovi cattolici italiani (CEI) per invitare le Chiese italiane a garantire sostegno alle popolazioni di Siria e Turchia colpite dal terremoto del 6 febbraio. L’iniziativa della CEI ha trovato pieno accoglimento da parte delle parrocchie di Teano-Calvi, Alife-Caiazzo e Sessa Aurunca, guidate dal vescovo mons. Giacomo Cirulli, attraverso i rispettivi uffici Caritas, dove continua la raccolta delle offerte avviata il Mercoledì delle Ceneri. Una volta raccolte, le offerte dovranno essere integralmente inviate a Caritas Italiana entro 30 aprile 2023.
Intanto, a distanza di un mese, si fa sempre più amaro il bilancio del disastro, in termini di morti, dispersi e danni alle strutture: oltre 51.000 vittime accertate (di cui 44.374 in Turchia e 6.700 in Siria), più di 120.000 feriti e un numero ingente di persone disperse e di edifici ridotti in macerie. Un quadro angosciante, che chiama in causa governanti, nazionali e internazionali, enti e singoli a non sottrarsi al moto di solidarietà già avviato in forme diverse, ma che necessita di essere intensificato. “L’appello a non dimenticarci, a programmare gli aiuti in modo intelligente e in base a dei progetti”, sono le parole di mons. Paolo Bizzeti, vicario apostolico dell’Anatolia nonché presidente Caritas Turchia intervistato per il SIR dalla giornalista M. Chiara Biagioni.
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L’INTERVISTA
Mons. Bizzeti, ci racconti qual è la situazione?
È ancora drammatica. Adesso pian piano si spera di rientrare nella normalità, quanto meno di uscire dalla paura del terremoto perché le scosse di 9 giorni fa avevano di nuovo innalzato il livello della paura abbondantemente. Adesso è un po’ di giorni che non succede niente e speriamo di esserne fuori. Per un mese siamo stati dentro il terremoto. È chiaro che adesso emergono i problemi di fondo, cioè la mancanza di alloggi, la mancanza di lavoro, la difficoltà per i ragazzi di avere la scuola. La precarietà quindi è a tutti livelli. Gli interventi adesso devono diventare più di fondo, per poter mantenere almeno un po’ le persone in questi luoghi.
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C’è stata una grande fuga. Il grosso pericolo è che gli sfollati che sono partiti, non facciano più ritorno, il che significherebbe sicuramente un impoverimento.
Anche per la comunità cristiana, il problema è grosso. Quindi è una situazione molto difficile. Grazie a Dio continua l’impegno di varie persone. Come Caritas Turchia e Caritas Anatolia abbiamo dei centri dove possiamo distribuire beni di prima necessità. Stiamo distribuendo tende e stiamo cercando di organizzare anche dei piccoli corsi su qualche materia in modo che i ragazzi abbiano la possibilità di essere impegnati. Questi sono i nostri interventi”.
In quanti sono rimasti a Iskenderun?
La popolazione in città contava più meno 220mila persone, compresi i rifugiati siriani. Quanti siano rimasti, è difficile calcolarlo anche perché molti sono provvisoriamente andati da parenti o amici, molti si sono accampati nelle tende in campagna. È difficile fare una stima precisa. La situazione ad Antiochia è sicuramente peggiore rispetto a Iskenderun. Antiochia è la culla del cristianesimo e siamo particolarmente affezionati a quella città.
Cosa vede oggi attorno a lei? Come è la situazione dei crolli in città?
Le chiese principali sono crollate. Gli ospedali sono crollati e non meno di 250/300 edifici sono completamente distrutti. È una città che piano piano sta riprendendo un po’ di vita. Comincia a riaprire qualche negozio ma sono ancora chiusi tutti i servizi pubblici. È quindi una città ancora in grandissime difficoltà.
Gli aiuti arrivano?
Grazie a Dio stanno arrivando, sia da parte della Chiesa sia da parte di enti pubblici e privati, nazionali e internazionali. Quindi non abbiamo in questo momento problemi a ricevere beni di prima necessità. Inoltre, cominciamo a preferire comprare in loco, in qualche supermercato o magazzino, in modo da incrementare l’economia locale. Rimane il fatto che abbiamo bisogno di aiuti: ci vorranno mesi, anni, per tornare ad un minimo di normalità per cui noi continuiamo a dare i riferimenti delle associazioni che lavorano con noi come il progetto Agata Smeralda, Amici del Medio Oriente e naturalmente la Caritas.
Prima del terremoto, eravate impegnati in prima linea negli aiuti ai rifugiati. Come è la loro situazione ora?
Ad Antiochia c’erano 150mila rifugiati siriani. In questo momento è difficile anche sapere quanti siano ancora in vita e fare stime. Certamente, piove sul bagnato. Loro sono quelli ad essere ulteriormente colpiti da questa tragedia. Penso alle donne, ai bambini, agli anziani. Anche in Siria la situazione del terremoto è difficilissima. Si cominciava a prospettare un ritorno in Siria, per alcuni almeno, e invece i tempi con il terremoto, si allungano e si allontanano.