Home Attualità Crisi climatica. Quale volto avrà il pianeta del futuro?

Crisi climatica. Quale volto avrà il pianeta del futuro?

Nel passato ci sono state oscillazioni nelle temperature, ma negli ultimi 200 anni qualcosa è mutato, a partire dalla frequenza degli eventi, come spiega il docente dell’Università Cattolica, Giacomo Alessandro Gerosa. I cambiamenti riguardano sia le catene montuose alpine che quelle appenniniche

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Veduta del Matese

Giovanna Corsale Quale futuro attende la nostra madre Terra? Questo interrogativo non lascia indifferente nessuno, ma anzi solleva l’attenzione di tutti e in più ambienti sociali, culturali, economici e politici. Svariati gli appelli lanciati da Papa Francesco in questi anni di Pontificato per esortare ad essere uniti nel rispetto e nella tutela del creato, il monito a pensare e volere il rispetto dell’ambiente, la cui summa è rappresentata dall’Enciclica Laudato si’ pubblicata nel 2015. La preoccupazione per una Casa comune sempre più esposta ai cambiamenti climatici, effetti diretti dell’inquinamento e di una “cultura dello scarto“, citando testualmente il Pontefice, porta scienziati e studiosi ad analizzare fenomeni come l’aumento costante della siccità, oppure la riduzione dei ghiacciai sulle montagne. Quest’ultima problematica riguarda tanto le Alpi quanto gli Appennini e, oltre ad alterare l’equilibrio naturale, compromette anche le attività turistiche. Il Climate Change è una questione che tocca da vicino anche i monti del Matese dove negli ultimi anni le stagioni invernali si sono accorciate e di conseguenza muta l’approccio dei residenti e di occasionali turisti con la montagna. Il “racconto” dei cambiamenti che stanno avvenendo nelle località montuose e l’indebolimento del sistema economico, aggravato dalla pandemia, è stato oggetto di approfondimento presso la Biblioteca diocesana San Tommaso d’Aquino di Piedimonte Matese, che il 24 febbraio scorso nell’ambito della rassegna “In Dialogo”, ha ospitato gli autori del libro Inverno liquido, Maurizio Dematteis e Michele Nardelli, i quali auspicano strategie di “riconversione”. (In basso le foto dell’evento)

Sulla questione vi proponiamo anche l’intervista al SIR, a firma di Gigliola Alfaro, rilasciata da Giacomo Alessandro Gerosa, docente ordinario di Fisica dell’atmosfera e incaricato di Ecologia alla facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali dell’Università Cattolica, sede di Brescia.

LEGGI L’INTERVISTA
In passato abbiamo avuto periodi di alte temperature e siccità come ora?

Questi fenomeni climatici sono avvenuti anche in passato, con alternanza di siccità, temperature elevate e freddo, con le sue naturali variazioni. Quello che si sta osservando è l’aumento della frequenza di questi eventi man mano che si procede nel tempo. Ad esempio, negli ultimi vent’anni abbiamo avuto le temperature più alte di sempre, il maggior numero di anni con temperature più alte, il numero maggiore di eventi siccitosi, dunque è aumentata la frequenza. Per capire l’andamento del cambiamento climatico dobbiamo attendere del tempo. Ma quello che stiamo vedendo va esattamente nella direzione che era stata prevista dai modelli, cioè quello che stiamo osservando rappresenta esattamente i prodromi del cambiamento climatico che sta procedendo.

La siccità di cui stiamo soffrendo anche in Italia è un fenomeno nuovo o già esistente?

Prof. Giacomo Alessandro Gerosa

Il Nord Italia, in particolare nella zona alpina e pre-alpina, è sempre stato siccitoso in inverno. Tanto che gli incendi capitano in primavera, quando c’è un riscaldamento della temperatura e tutto è estremamente più secco. Sulle Alpi in inverno non è mai estremamente piovoso come è invece sugli Appennini. Il problema è che il clima naturalmente siccitoso in inverno si accompagna a una riduzione della copertura nevosa e dei ghiacciai, che è la vera riserva d’acqua per l’agricoltura padana. L’agricoltura padana, infatti, ha sempre potuto godere di un’agricoltura intensiva perché ha sempre avuto a disposizione acqua che veniva rilasciata dai serbatoi alpini, dai ghiacciai, esattamente quando serviva, cioè d’estate, cosa che non avviene sull’Appennino dove esiste un regime torrentizio dei propri fiumi, dove c’è tanta acqua quando piove e poi rimangono in secca. Al Nord è al contrario, ma ora iniziamo a vedere che anche in questo contesto in estate l’acqua inizia a scarseggiare, proprio per la riduzione dei serbatoi naturali che erano i ghiacciai. Questo è un trend evidenziato dai modelli che prevedono una riduzione significativa della copertura nevosa, che costituisce un problema anche per il turismo.

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