di Padre Gianpiero Tavolaro
Comunità Monastica di Ruviano (Clicca)
IV Domenica di Quaresima – Anno A
1Sam 16,1.4.6-7.10-13; Sal 22; Ef 5,8-14; Gv 9,1-14
La Quaresima, oltre che tempo di conversione e di penitenza, è tempo di luce: anzi, proprio la luminosità è, a un tempo, la condizione e la possibilità della vita nuova che Cristo propone. Chi, infatti, desidera seguire il Cristo non può farlo se non nella luce; ma, al tempo stesso, quanto più lo si segue, tanto più si può godere della luce che egli è e che egli dona.
La luminosità della Quaresima è ben significata dal Quarto evangelo nel segno del cieco nato, che indica Gesù come luce del mondo, lasciando già intravvedere la sua Pasqua, ormai vicina, come “luogo” in cui, una volta per sempre, questa luce vince le tenebre.
A differenza dei ciechi di cui parlano gli evangeli sinottici, il cieco di Giovanni non chiede nulla: egli neppure sospetta che possa guarire, perché, essendo nato nella cecità, ignora del tutto la luce. Egli vive la sua condizione di tenebra, immerso totalmente nella tenebra. È Gesù, in questo caso, che prende l’iniziativa di accostarsi a lui e lo fa compiendo subito un gesto creazionale: con un po’ di terra e con la propria saliva fa del fango, con cui gli unge gli occhi e con questo gesto annuncia che è venuto per creare una nuova umanità che, uscita dalle tenebre del peccato, possa intraprendere un cammino di immersione e di identificazione con Lui, il Cristo, l’Unto di Dio, il suo Inviato.
Unto come Gesù, l’uomo guarito dalla sua cecità è inviato a immergersi nell’Inviato (la piscina di Siloe – nome la cui radice è la medesima del verbo ebraico che significa “inviare” – assurge qui a simbolo di Cristo stesso, Inviato dal Padre) e come Gesù è perseguitato.
Ci si trova di fronte a un vero e proprio itinerario battesimale che, dall’incontro con Cristo giunge sino all’immersione in lui: un itinerario che diviene vita; vita di luce, ma anche, proprio per questo, vita di incontro dialettico con un mondo che, con le sue contraddizioni e le sue resistenze violente al Regno, illudendosi di vedere, resta invece imprigionato dalle tenebre.
Dopo la guarigione, Gesù scompare dalla scena e lascia solo colui che era stato cieco: lo lascia, cioè, senza altro appoggio che ciò che ha sperimentato nell’incontro con lui. Il guarito deve così scoprire, nel rapporto con il mondo, il significato di quel gesto e di quella parola di Gesù; il significato di quella sua obbedienza alla parola che Gesù gli aveva detto: «Va’ a lavarti nella piscina di Siloe». Colui che si è lasciato illuminare,
Il Quarto evangelo condensa così, in questo racconto, ciò che la via battesimale è e può essere per chiunque la percorra: chi è di Cristo, perché unto da lui, immerso in lui, obbediente a lui, riceve da lui doni tali da potergli rendere testimonianza, spingendosi al punto di dire l’«Io sono» (v. 9) che, nel Quarto evangelo, solo Gesù pronuncia. Chi è “di Cristo” è generato alla luce e diviene egli stesso luce!
Al termine del racconto (v. 35), Gesù si mostra di nuovo: «Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori e, incontratolo gli disse: “Tu credi nel Figlio dell’uomo?”». Così gli si manifesta e gli rivela anche il senso di quella vista che gli ha donato: vedere lui («“E chi è, Signore, perché io creda in lui?”. Gli disse Gesù: “Tu l’hai visto: colui che parla con te è proprio lui”», vv. 36-37), perché se si vede lui si è entrati nella luce che tutto trasforma, nella luce della vita.
Gesù va a cercare colui che era stato cacciato fuori per condurlo al suo ovile; si prende cura di lui, lo porta con sé; se prima lo aveva lasciato solo a testimoniare, ora gli mostra che, in realtà, non era solo, ma era accompagnato da una custodia che non viene mai meno.
Questa è la vicenda di ogni discepolo di Gesù, chiamato ad assumere o, comunque, a riappropriarsi sempre più consapevolmente del proprio Battesimo, per rileggere la propria vita a partire dall’evento-incontro con lui, da quell’essere scelti, amati, guariti, cercati da lui, a prescindere dai propri “meriti”. In ciò risiede, per il cristiano, il motivo profondo della propria gioia: essere scelti, mentre si è lontani!
La vita in Cristo è, allora, vita di lotta contro il “mondo” e contro le dominanti mondane che abitano l’uomo, ma si tratta di una lotta non disperata, perché non c’è peccato che non trovi perdono e non c’è notte che, nel Risorto, non si tinga di nuovo dei colori dell’aurora!