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Siccità / Ambiente. È la crisi idrica più grave dell’ultimo secolo. La parola all’esperto

"È la crisi idrica più grave dell’ultimo secolo". Lo afferma Marco Borga, professore di idrologia idraulica all’Università di Padova e di Water and geological risk engineering, nella sede distaccata di Rovigo

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Andrea Frison* – “È la crisi idrica più grave dell’ultimo secolo”. Lo afferma a ragion veduta Marco Borga, professore di idrologia idraulica all’Università di Padova e di Water and geological risk engineering, nella sede distaccata di Rovigo. “Nel 1922, spiega il docente – si verificò un anno siccitoso paragonabile a quello che abbiamo avuto lo scorso anno. Il 1923 però fu un anno molto piovoso, mentre oggi ci troviamo ancora in una situazione di siccità. Siamo alla crisi più grave mai monitorata”.

(Foto Siciliani – Gennari/SIR)

Professore, questo inverno è stato peggiore di quello dello scorso anno? Perché?
È stato più secco e meno nevoso. Le risorse che abbiamo stoccato in termini di copertura nivale sono minori su tutto l’arco alpino, dal Piemonte al Veneto. Le falde sono depauperate.

Come si può intervenire?
Bisogna distinguere una strategia a breve termine e una su lungo periodo. Nell’immediato occorre fare delle previsioni sul comportamento dei corsi d’acqua nel prossimo mese e decidere a quali colture destinare la poca acqua disponibile, in una logica di riduzione del danno.

E nel lungo periodo che interventi sono necessari?
Le scelte verranno fatte in base ai finanziamenti che saranno resi disponibili. Le strategie più robuste sono quelle che prevedono interventi integrati fra loro. Da solo il “piano laghetti” non è sufficiente se non è affiancato ai sistemi di ricarica delle falde e al coordinamento delle operazioni sui grandi invasi alpini. Quest’ultimo è un tema extra-regionale di importanza cruciale. Alle iniziative per gestire la risorsa idrica vanno accompagnate iniziative sul fronte della domanda di acqua: il primo settore colpito dalla crisi e quello che consuma più risorsa idrica è quello agricolo. Qui si tratta di incentivare un cambiamento di colture, di modalità di irrigazione e di utilizzo dell’acqua. La desalinizzazione, di cui si è parlato in questi giorni, ha un costo abnorme ed è indicata per i consumi civili, non agricoli. In ogni caso, è meglio intervenire sulle reti idriche che perdono il 20-30% della loro portata.

Operativamente, chi dispone delle “leve” per gestire la crisi?

Prof. Marco Borga

Gli attori sono molteplici. I consorzi di bonifica sono certamente tra i protagonisti in campo agricolo. Hanno la possibilità di incentivare i cambiamenti di colture e le modalità di irrigazione. Ma dal punto di vista della programmazione, della conoscenza del fenomeno e della promozione di politiche di integrazione sono protagonisti i distretti idrografici, un tempo denominati “Autorità di bacino”. La regione del Veneto rientra in due distretti: quello delle Alpi orientali e quello del Po. Tuttavia questi organismi hanno dei limiti, sia per la possibilità di intervento finanziario che di intervento politico.

Perché?
Sono autorità “importate” nell’ordinamento italiano dall’Inghilterra e dalla Francia, dove svolgono un ruolo politicamente rilevante. Qui da noi sono invece state depauperate a vantaggio di un organismo concorrente, le Regioni. E a breve vedremo esplodere la conflittualità tra Veneto e Trentino-Alto Adige.

Di che conflittualità parla?
Per l’uso dell’acqua da destinare all’irrigazione e alla generazione di corrente elettrica. Lo scorso anno il Veneto ha potuto beneficiare dei bacini presenti nelle province di Trento e di Bolzano, che disponevano di acqua “ereditata” dagli anni precedenti. Quest’anno, però, ce n’è già pochissima.

Esiste un organismo per gestire il conflitto tra Veneto e le province di Trento e Bolzano?
Sì, è un osservatorio di crisi che si attiva nel momento in cui le portate del fiume Adige diminuiscono. Lo scorso anno è stato attivato in primavera.

Perché è importante la negoziazione tra Veneto, Trento e Bolzano?
Perché le scelte fatte in Trentino e in Alto Adige sono determinanti per tutta la pianura veneta fino al contenimento del cuneo salino nella zona costiera.

Il Governo ha annunciato la nomina di un commissario per la gestione della crisi idrica nel nord Italia. La nomina però non è ancora avvenuta. Secondo lei si tratta di una risposta adeguata alla crisi?
La nomina non è ancora avvenuta perché è difficile trovare il demiurgo, non è possibile che una persona da sola risolva la situazione. Occorre un intervento più mirato che costringa diverse unità amministrative a parlarsi. Mancano le regole perché un commissario possa essere efficace.

Insomma, regole per gestire una crisi di questo tipo in Italia non esistono.
Non esistono perché è una situazione nuova. E le regole esistenti, con questa crisi, funzionano male. Dal mio osservatorio però mi sento di dire che si sta reagendo con rapidità, poi se è veramente così lo vedremo nei prossimi mesi. In una situazione di questo tipo è necessario che ci sia contezza dei “costi” per ogni utilizzo dell’acqua. Gestire la crisi significa gestire i danni. È meglio che molti subiscano poche perdite piuttosto che il contrario.

Il paradosso è che fino a un paio di anni fa si parlava di rischio idrogeologico dovuto alle troppe precipitazioni.
E vedrà che tra due anni torneremo a parlarne. Il clima si sta avvicinando al motto biblico “sette anni di vacche grasse e sette di vacche magre”. Lunghi periodi di siccità si intervalleranno con periodi molto umidi. Non staremo mai in pace. L’ambiente naturale continua ad offrirci immagini nuove: prima la tempesta Vaia, poi il lago di Garda quasi prosciugato. Sono nuove normalità, sorgenti di pericolo che dobbiamo affrontare in maniera nuova.

*precedentemente pubblicato su “La voce dei Berici”

 

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