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Commento al Vangelo, V domenica di Quaresima. La resurrezione di Lazzaro, attraverso la morte per approdare alla vita

Commento al Vangelo, V domenica di Quaresima, Anno A

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di Padre Gianpiero Tavolaro
Comunità Monastica di Ruviano (Clicca)

V Domenica di Quaresima – Anno A
Ez 37,12-14; Sal 129; Rm 8,8-11; Gv 11,1-45L’ultima tappa del cammino quaresimale porta il credente presso una tomba, luogo dal quale si sprigiona tanfo di morte, segno della fine di ogni umana speranza. Questa scelta della liturgia è tutt’altro che casuale: ogni percorso di liberazione, infatti, rischia di avere il sapore della fuga e della dimenticanza della “tragicità” del reale, se non è disposto a giungere a un faccia a faccia con il dolore in tutte le sue forme, sino a quella sua espressione estrema e così apparentemente definitiva, che è la morte.

Non vi è possibilità di accedere a una “vita nuova” per chi sia dimentico del fatto che l’uomo, come ogni creatura, è materia corruttibile e per quanto l’uomo possa sforzarsi di dimenticarlo, per quanto possa fare di tutto per rimuovere il pensiero di questa caducità, allontanandolo con mille espedienti, per quanto possa diventare cattivi perché ne ha paura (cf. Eb 2,15), alla fine la morte verrà, per tutti. Giunto alla sua ultima sosta, il cammino quaresimale mostra Gesù che pronuncia una parola di vita non per prevenire o bypassare la morte, ma per incontrare l’uomo nella morte, nella sua morte.

Il racconto di Lazzaro inizia con il rinviare di Gesù il proprio arrivo presso l’amico malato: per quanto incomprensibile possa apparire una tale scelta, essa serve a evidenziare che, in realtà, a Gesù non interessa fare un “miracolo” che scampi dalla morte, quanto piuttosto mostrare (coerentemente con il progetto teologico del Quarto evangelo) di essere capace di raggiungere l’uomo e salvarlo nella morte. La morte di Lazzaro è per la vita, perché solo se si attraversa la morte si può approdare alla resurrezione da essa: il cristianesimo non è annunzio di immortalità, ma di resurrezione, vale a dire di uno spazio di vita che si dispiega grazie all’intervento di Dio a favore di ogni uomo che ha scelto di assumere la vita e di restare in essa (in questo senso l’appellativo di “amico” riservato a Lazzaro ha una valenza teologica straordinaria, in linea con tutta la tradizione biblica)!

Per essere il segno che Gesù voleva dare, Lazzaro non doveva essere preservato dal sepolcro e dal suo orrore: è lì, infatti, che il Salvatore va a cercarlo, per restituire a lui, che è amico del Signore, la vita. Nel capitolo precedente, Gesù aveva detto di essere il Pastore buono che chiama le sue pecore per nome e le fa uscire (cf. 10,3): egli si è presentato come quel pastore che è venuto perché le sue pecore abbiano la vita e l’abbiano in sovrabbondanza (cf. 10,10). E ora c’è una “pecora”, che è preda della morte e che è precipitata nell’ombra della tomba; Lazzaro, l’amico amato è questa pecora e Gesù fa per lui quanto aveva detto: gli grida di uscire fuori e lo fa chiamandolo per nome.

Questo segno è, tra tutti, quello che pone Gesù già faccia a faccia con la morte, anticipando quello scontro che avverrà alla fine dell’evangelo e nel quale la morte sarà inghiottita dalla vittoria (cf. 1Cor 15,54). Gesù, allora, non preserva l’amico, Lazzaro, dal morire, ma lo chiama dalla morte: è dell’uomo passare attraverso la morte: a essere non umana è l’immortalità e ancor più disumana è la presunzione di non morire! È nell’attraversare la morte che si vince la morte: è quanto farà Gesù che su questo non pretenderà sconti: «Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora!» (Gv 12,27).

Al termine della Quaresima, l’evangelo mostra il Figlio di Dio che piange sulla morte, come ogni uomo, e questo pianto racconta la sua ricerca dei passi dell’uomo, perduti nel buio della morte. Il racconto della resurrezione di Lazzaro è davvero il grande preludio alla sua discesa all’inferno per cercare quell’Adam, quell’uomo, che nella morte precipita ogni giorno. È questo il “segno” estremo: Gesù va a cercare Lazzaro nella sua morte. Da questo momento, nel Quarto evangelo, i segni terminano, perché finalmente si giunge a quello che tutti i segni miravano a indicare: il mistero della morte e risurrezione di Gesù.

È l’ora ormai in cui Gesù scenderà nella valle oscura della morte per cercare l’uomo e ricondurlo alla luce (cf. Sal 23,4). Marta e Maria sono accompagnate da Gesù nella lettura di questo segno, ma per coglierlo devono imparare a distogliere lo sguardo da Lazzaro e dalla sua tomba inattesamente svuotata e dovranno volgerlo a Gesù: «Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà». Come sempre, l’evangelo chiede di puntare a Gesù: l’uscita dalle tenebre e dall’ombra di morte è possibile solo in un’adesione vitale a lui: «Credi tu questo?».

È questa la domanda finale di questa Quaresima: è questa la domanda che, ogni giorno, il Cristo rivolge ai suoi discepoli. A ciascuno la libertà della risposta.

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