Antonio Sasso* – Il titolo, “Il Mistero della Settimana Santa nell’arte” evidenzia un immediato rapporto che si è instaurato da secoli tra la Chiesa e l’arte; e quando lungo il corso della Storia l’arte non è riuscita a farsi comprendere dal popolo a motivo della sua complessità, la fede del degli uomini ha saputo sviluppare quella sensibilità che ha reso l’arte stessa espressione del legame tra il popolo e Dio.
In questa Settimana Santa, giorni di maggiore frequentazione delle chiese, se osserviamo le persone che vi entrano, notiamo che esse si comportano di fronte ad un’opera d’arte, in particolare ad una bella statua, come dinanzi ad una persona. L’opera d’arte da proporre al godimento degli occhi diventa una realtà sacra, un sacramentale, e questo per la Chiesa è una conquista spirituale: parlare al cuore dell’uomo di oggi attraverso l’arte è la strada che unisce al divino, che conduce l’uomo al Mistero e il Mistero al cuore dell’uomo.
San Giovanni Paolo II nella Lettera agli artisti nel 1999 scriveva: «In un certo senso, l’icona è un sacramento: analogamente, infatti a quanto avviene nei sacramenti, essa rende presente il mistero dell’Incarnazione. Proprio per questo la bellezza dell’icona può essere gustata all’interno di un tempio con lampade che ardono e suscitano nella penombra infiniti riflessi di luce». Se pensiamo tale discorso aperto ad ogni tipo di manufatto artistico concepito dalla la fede e per fede, ci confermiamo nell’idea che la bellezza di un’opera d’arte è sacra e deve essere gustata all’interno di un tempio, nel luogo per il quale è stata concepita, attuata, voluta.
Si apre quindi un grande interrogativo del rapporto tra la Chiesa e l’uomo d’oggi che pone infiniti problemi: come gli effetti della secolarizzazione, o per dir meglio, di una società post secolare alla luce dell’interesse suscitato dall’arte nelle sue varie forme (architettura, scultura, pittura, musica, etc.), stiano via via smorzandosi o per lo meno rimanendo senza risposta che nel tempo della Settimana Santa sembrano sconfinare in un atteggiamento di rifiuto, di non curiosità, di non rispetto, di disaffezione e disattenzione. E quindi gli interrogativi della fede restano in sospeso in un atteggiamento superficiale e non interiore. L’educatore/sacerdote si trova di fronte ad un rapporto molto complesso che si instaura tra fede cultura; le varie forme di arte che viviamo in questo tempo sembrano essere disertate; il canto sacro, l’arte floreale, l’uso di manufatti preziosi nelle varie funzioni liturgiche sembrano non avere alcun senso ma in realtà la Chiesa si trova dinanzi ad un’opportunità davvero unica nello svolgimento della propria missione se esse venissero comprese, interiorizzate, fatte proprie, lette e comunicate nel suo più intenso significato.
Alla luce di quanto detto è possibile attivare un insieme di percorsi formativi che possano coinvolgere i credenti nella propria sensibilità culturale ammirando, contemplando l’opera che gli è posta sotto lo sguardo, rivelatrice del Mistero pasquale.
La proposta: l’arte sostiene la fede
Un ideale percorso iconografico-formativo nei giorni che precedono la Pasqua, potrebbe attingere a varie opere sia pittoriche sia scultoree.
Nella Cattedrale di Alife sull’altare della Cappella del SS. Sacramento, come in un teatro, si apre la scena dell’Ultima Cena (Istituzione dell’Eucarestia, databile tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII). Il panneggio, l’angelo turiferaio, la stessa disposizione degli apostoli e del Cristo, risentono del manierismo seicentesco e come entrare in una scena, essere partecipi dell’evento proposto. Lo stesso tavolo ricco di particolari legati alla cena richiama la nostra attenzione ad un simbolismo molto accentuato: il coltello segno di morte e di sangue; il limone segno dell’amarezza; gli stessi piatti da portata sembrano alludere al sacrificio di Cristo che avverrà di lì a poco…
Ad Alvignano, nella chiesa di San Sebastiano sulla parete della prima campata della navata di destra, si conserva il Crocifisso ligneo seicentesco che appare in tutta la sua crudezza e allo stesso tempo esprime la serenità di una morte accettata per la nostra salvezza. Il corpo del Cristo nella sua nudità si presenta scarno e pallido, quasi a sottolineare la caducità la fragilità della natura umana.
Nella Cappella di San Biagio (territorio della parrocchia di Santa Maria Maggiore), nel centro storico di Piedimonte Matese, tra gli affreschi quattrocenteschi è possibile ammirare l’Agnus Dei che si erge su un monte schematizzato ricco di simbolismi: il Cristo, novello Mosè che si erge quale autore della Legge; ai piedi del monte è visibile la colomba, presenza viva dello Spirito che vivifica anche l’antica Legge. L’affresco parla più al cuore che ai sensi facendo entrare il fedele nel Mistero di Cristo, se vogliamo, in maniera immediata senza ulteriori filtri che ne andrebbero a mutarne il significato.
Nella cappella del SS. Sacramento, sul lato destro del transetto della Basilica Concattedrale di Caiazzo, la cona d’altare è una vera e propria sintesi cristologica, ancora oggi oggetto di studio da parte di iconografi, teologi e storici dell’arte. Il Cristo Risorto regge la croce, mentre angeli mostrano i simboli della passione; i suoi piedi poggiano su una vasca dai cui lati zampillano fiotti del sangue del Redentore simbolo della salvezza rivolta a tutti. Ai lati i Santi Vescovi Stefano Menicillo e Ferdinando d’Aragona, contemplano il Cristo quasi ad implorare salvezza per il loro popolo. Questa pala è una sintesi tra la salvezza – simboleggiata dal sangue – e coloro che la impetrano presso il Redentore insieme ai santi Francesco e Maria Maddalena molto venerati nella Città di Caiazzo.
*Don Antonio Sasso, sacerdote della Diocesi di Alife-Caiazzo, responsabile dell’Ufficio di Arte Sacra.