Luciano Marotta* – Per entrare pienamente nel clima di questi “giorni santi” è necessario innanzitutto coglierli nella loro unità. Il Triduo santo lo si comprende solamente se lo si celebra “in unità”, senza separare tra loro venerdì, sabato, domenica. Il Triduo è come un’unica grande celebrazione che va dalla messa “in coena Domini” del Giovedì santo alla Domenica “di risurrezione”.
“Ogni volta” (Il Giovedì santo)
La celebrazione del Giovedì santo (“in coena Domini”) costituisce l’inizio del Triduo pasquale. Infatti, nell’istituzione dell’Eucaristia e nel gesto della lavanda dei piedi viene profeticamente svelata e annunciata la morte e la risurrezione del Signore: «Ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice noi annunciamo la morte del Signore finché egli venga». Accogliere il volto del Maestro e Signore che depone le sue vesti e lava i piedi ai suoi discepoli è il passo necessario che la Chiesa deve compiere per “aver parte con lui” – come dice Gesù a Pietro: «Se non ti laverò, non avrai parte con me» (Gv 13,8) e per poter celebrare in verità il Triduo. Pasqua è entrare nel suo mistero: «Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi» (Gv 13,15).
ALTARE DELLA REPOSIZIONE e non il termine: “sepolcro”
Ancora oggi, questo, è usato nel linguaggio popolare di alcune regioni della nostra Italia, soprattutto nel Sud. Ma è importante precisare che andrebbe definito, più propriamente, “altare” o “cappella della reposizione”. In un’area diversa dal “Tabernacolo” – l’altare destinato a conservare le ostie consacrate – viene “allestito” questo particolare spazio, destinato ad accogliere, dopo la celebrazione della “Cena del Signore”, le specie eucaristiche consacrate, e a conservarle sino al pomeriggio del Venerdì Santo. Saranno poi distribuite ai fedeli per la comunione sacramentale, al termine della liturgia penitenziale.
“Popolo mio” (Il Venerdì santo)
Al centro del Venerdì santo sta la celebrazione della passione del Signore con la lettura del racconto della passione secondo l’evangelista Giovanni. Fondamentalmente si tratta di una celebrazione della Parola che tende per sua natura al compimento nella celebrazione dell’Eucaristia della Veglia pasquale. Questa attesa, come dicevamo, è ben significata dal profondo e suggestivo silenzio nel quale l’assemblea si scioglie.
In questa prospettiva gloriosa, la croce viene adorata come “trono della grazia”. La seconda lettura, tratta dalla Lettera agli Ebrei, esorta: «Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno» (Eb 4,16). Anche in questo caso non si tratta di uno sterile ricordo, ma, celebrando la passione del Signore, la Chiesa interpreta la sua vita nella medesima prospettiva. Oggi infatti la passione del Signore continua nel suo corpo, perché con lui sepolti possiamo risorgere insieme a lui. Di fronte alla croce la Chiesa comprende la sua vita alla luce di Colui che ha tanto amato il mondo da dare il suo unigenito Figlio.
ADORAZIONE DELLA CROCE
La Liturgia del Venerdì Santo ha anche un suo momento popolarmente molto sentito nell’Adorazione della croce e nel successivo bacio da parte dei fedeli. Il legno della croce, cui fu appeso il Cristo come il maledetto da Dio (cfr Gal 3, 13-14) è divenuto il segno della salvezza, il vanto unico del cristiano (cfr Gal 6,14). Così la croce diviene il Simbolo di speranza e di redenzione di tutte le sofferenze e i peccati dell’umanità.
“Oggi sulla terra c’è grande silenzio” (Il Sabato santo)
Il Sabato santo è celebrato nel silenzio e nell’attesa. In questo giorno non c’è nessuna celebrazione liturgica se non la liturgia delle ore. C’è un grande “simbolo” che segna questa giornata del Triduo che termine con l’inizio della Veglia e quindi della Domenica di Risurrezione: il silenzio. Spesso davanti al silenzio rimaniamo come smarriti e possiamo correre il rischio di cercare qualche soluzione che possa riempire ciò che noi consideriamo “vuoto”. Ma la Chiesa in questo giorno è chiamata a porsi in ascolto del “magistero del silenzio”.
“O notte veramente gloriosa” (La Veglia pasquale)
Nella Veglia pasquale la Chiesa celebra “ogni evento di salvezza” che Dio ha operato nella storia a favore del suo popolo Israele e dell’intera umanità Per comprendere ciò che si celebra nella Veglia pasquale non è fuori luogo far riferimento ad un noto passaggio della Haggadàh di Pésach della Pasqua ebraica nel quale si afferma: «in ogni generazione deve l’uomo considerarsi proprio lui uscito dall’Egitto… in quanto non i nostri padri liberò soltanto il Santo Benedetto Egli sia, ma anche noi liberò con loro». La celebrazione della Veglia, e in generale del Triduo di cui essa costituisce il centro, è per la Chiesa questa esperienza di liberazione e di redenzione: comunione con le opere che Dio ha compiuto nella storia per la sua salvezza e anticipazione del futuro, quando l’umanità entrerà nel riposo di Dio, nel suo Regno.
IL CERO PASQUALE
Il cero Pasquale è il segno di CRISTO RISORTO, luce vera del mondo che illumina ogni uomo. E’ il segno della vita nuova in Cristo che, strappa dalle tenebre e trasferisce i credenti nel regno della luce. Viene acceso ogni anno all’inizio della Veglia Pasquale, e si accende in tutte le Messe del Tempo Pasquale fino alla Solennità di Pentecoste. Dopo aver benedetto il fuoco, il sacerdote incide una croce, simbolo di Cristo, sul cero pasquale; poi incide l’Alfa e l’Omega, prima e ultima lettera, dell’alfabeto greco per indicare che Cristo è il principio e la fine di tutte le cose; infine incide le cifre dell’Anno, per significare che Gesù Signore del tempo e della storia vive oggi per noi.
Solo pochi accenni sulla ricchezza di questi giorni centrali dell’anno liturgico, che ci possono aiutare ad entrare nel Triduo con uno sguardo rivolto al MISTERO che si celebra. Entriamo in questi giorni portando nel cuore le parole di Paolo: «togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato!» (1Cor 5,7). La celebrazione di questi giorni è appunto la celebrazione della nostra Pasqua: il nostro rinnovamento personale ed ecclesiale che noi viviamo in comunione con Lui, che è la nostra Pasqua.
* Don Luciano Marotta, è un presbitero della Diocesi di Sessa Aurunca; parroco di San Giovanni e Paolo in Casale di Carinola e di Santa Maria in Foro Claudio in Ventaroli di Carinola; è Direttore dell’Ufficio Liturgico della Diocesi di Sessa Aurunca; autore di alcune pubblicazioni.