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Pasqua, Commento al Vangelo. “E’ Risorto!”, la verità da cui non si torna indietro. Ed è certezza che cambia la vita del mondo

Commento al Vangelo di Pasqua

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di Padre Gianpiero Tavolaro
Comunità Monastica di Ruviano (Clicca)

Pasqua di Resurrezione

Veglia Gen 1,1-2,2; Gen 22,1-18; Es 14,15-15,1; Is 54,5-14; Is 55,1-11; Bar 3,9-15.32-4,4; Ez 36,16-28; Rm 6,3-11; Mt 28,1-10
Messa del giorno At 10,34a.37-43; Sal 117; Col 3,1-4 (opp.1Cor5,6b-8); Gv 20,1-9 (sera Lc 24,13-35)

Beato Angelico, Pie donne al Sepolcro, tempera su tavola, 1453, Museo di San Marco, Firenze

La comunità cristiana, che ha iniziato il proprio cammino quaresimale nel segno della cenere, memoria della fragilità umana e dell’impellente e incessante richiamo di Dio alla conversione, giunge con la Pasqua alla luce che, già preannunciata dalla trasfigurazione di Gesù sul monte, rappresenta la promessa di quella pienezza di vita e di umanità alla quale ciascuno potrà giungere, passando attraverso l’umanità di Cristo: l’uomo nuovo-Gesù, Colui che ha affrontato la morte con l’unica arma valida a combatterla, l’amore, diviene per ciascuno possibilità di vita nuova nell’amore.

È l’amore ad aver vinto la morte! La risurrezione non è “causata” dalla divinità di Cristo, ma dal suo amore: è il suo amore fino all’estremo (cf. Gv 13,1) che ha vinto la morte, rivelando che Gesù è il Figlio eterno di Dio, il Verbo eterno del Padre, cioè la Parola d’amore che il Padre pronuncia fin dagli abissi dell’eterno e che è stata consegnata alla carne umana nella carne di un uomo, il figlio di Maria, l’Atteso di Israele, il Promesso a tutte le genti! Un amore così – un amore che non teme la morte per consegnarsi e donarsi all’altro –non poteva restare prigioniero della morte: risuscitando Gesù, il Padre non ha fatto che mettere il sigillo del suo “sì” a quell’umanità amante del Figlio.

Anche la resurrezione, come tutta la vita del Nazareno, va letta nella logica del dono: essa non è opera di Gesù né da lui è “presa” o “pretesa”, ma da lui è accolta come estremo dono del Padre all’estremo dono della propria vita. E questo dono porta in sé non solo la pienezza dell’amore divino, ma anche la pienezza dell’amore umano.

Il Quarto evangelo racconta di Pilato che dice, inconsapevole, la grande verità su Gesù: «Ecco l’uomo» (cf. Gv 19,5). Senza saperlo, Pilato sta dichiarando che in Gesù, nel suo volto sfigurato da un dolore che ha il sapore dell’amore consegnato e offerto, è la vera umanità e chiunque voglia essere uomo è a lui che deve guardare.
L’umanità di Cristo apre una strada per “chiunque”, non solo per chi ha la grazia di essere di Cristo, non solo per chi ha una fede… a ciascuno, però, è richiesta un’autentica ricerca di umanità…

La comunità cristiana, dunque, può (e deve!) cantare alleluia per tutti, anche per coloro che non conoscono Cristo, per tutti, per annunciare a tutti che ciascuno è amato e perdonato e che ciascuno riceve un’infinita promessa di vita! La promessa che Dio, in Cristo, rivolge a ogni uomo è per tutti coloro che, come Pietro e Giovanni, corrono in cerca di un senso per quello che senso non ha, per tutti coloro che corrono pieni di dubbi e domande che sembrano destinate a non trovare risposta.

A rendere la risurrezione di Gesù seme di speranza per l’umanità è il fatto che in essa Dio non solo consola della sofferenza, ma protesta contro la sofferenza: se la risurrezione fosse solo consolazione, essa rischierebbe di essere solo tentazione di quietismo e di rassegnazione, ma, poiché genera speranza, essa non rende l’uomo più tranquillo o paziente, ma inquieti e impazienti, nell’attesa del compimento. È proprio questa tensione verso una pienezza a rendere la Pasqua critica, severa e fattiva rispetto a ogni incompiutezza storica, a ogni pretesa di compiutezza intramondana, a ogni presunzione di autosufficienza dell’uomo.

La Pasqua rivela che la pienezza dell’uomo riposa solo sul dono di grazia, sull’amore del suo Creatore, del suo Redentore, del suo Santificatore. Ecco perché il mistero della Pasqua è il centro della vita cristiana: perché la fede cristiana si gioca tutta qui, nell’incontro con il Risorto e con l’amore di cui egli racconta e consente di fare esperienza. È cristiano non semplicemente chi è battezzato, ma chi riconosce, in un giorno della sua vita, di aver incontrato il Cristo Crocefisso e Risorto, il Vivente.

È proprio per sottolineare ciò che Matteo, differenziandosi dagli altri due sinottici, sottolinea che Gesù in persona si fa presente e si fa incontrare dalle donne che già avevano accolto l’evangelo della Risurrezione. Nel momento in cui le donne si allontanano dal sepolcro, esse già hanno accolto sanno una grande notizia («Non è qui. È risorto, come aveva detto… È risuscitato dai morti, e ora vi precede in Galilea…»): tuttavia, solo l’incontro con Gesù trasformerà quella notizia ricevuta in una realtà che afferra tutto quello che esse sono, facendo di quella notizia una verità da cui non si può più tornare indietro. È solo l’incontro con Cristo che trasforma l’uomo in cristiano, perché solo quell’incontro rende quei fatti – che, anche se celebrati rischiano di restare “lontani” – fatti della propria vita.

La gioia che la Pasqua rinnova nel cuore di chi Gesù l’ha incontrato davvero è la gioia di sapere che la via dell’amore “ostinato” di Gesù non è vana, perché è solo quella la via che conduce alla vita, e crea il mondo nuovo.
Chiunque lo abbia incontrato come il Vivente non può fare a meno di annunciare che la via della croce, in quanto la via di amore, è la sola possibile vittoria: vittoria paradossale, non sotto il segno delle potenze di questo mondo, ma sotto il segno della debolezza dell’evangelo.

 

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