Noemi Riccitelli – Nel celeberrimo film Il diavolo veste Prada (The Devil Wears Prada, David Frankel, 2006), ormai diventato un cult, c’è un passaggio in cui l’algida Miranda Priestly (Meryl Streep, unica in questo ruolo), direttrice di una nota rivista di moda, si rivolge in modo pungente alla sua neo assistente Andy (Anne Hathaway, di pari bravura nella pellicola) la quale aveva da poco banalizzato la scelta tra due cinture che a suo parere avevano lo stesso colore: chi ha visto il film avrà sicuramente compreso che si tratta del proverbiale discorso sul “ceruleo”.
«Oh, ma certo ho capito: tu pensi che questo non abbia niente a che vedere con te. Tu apri il tuo armadio e scegli, non lo so, quel maglioncino azzurro infeltrito per esempio, perché vuoi gridare al mondo che ti prendi troppo sul serio per curarti di cosa ti metti addosso, ma quello che non sai è che quel maglioncino non è semplicemente azzurro, non è turchese, non è lapis, è effettivamente ceruleo. (…) Quell’azzurro rappresenta milioni di dollari e innumerevoli posti di lavoro.»
Milioni di dollari e innumerevoli posti di lavoro: proprio così. Guardando Air – La storia del grande salto non ho potuto fare a meno di pensare a questa battuta.
Infatti, il film scritto da Alex Convery e diretto da Ben Affleck, al cinema dal 6 aprile, racconta la storia della ripresa economica di un’azienda oggi leader nella vendita di articoli sportivi, Nike, e la nascita di uno dei suoi prodotti più unici, il modello di scarpe “Air Jordan”, realizzate come calzature da basket ispirate all’allora giovane giocatore Michael Jordan, ma poi diventate una tendenza, un evergreen dell’abbigliamento casual-sportivo.
Questo sarà l’inizio della collaborazione tra il noto marchio e la famiglia Jordan, in quello che può definirsi un business ben congegnato.
Nel cast, interpreti di un certo spessore: lo stesso Ben Affleck insieme a Matt Damon, sancendo così il ritorno di un’accoppiata vincente ad Hollywood, e ancora Viola Davis, Jason Bateman, Chris Messina, Chris Tucker.
Stati Uniti, 1984. Le aziende Adidas e Converse dominano il mercato del Paese con le maggiori percentuali di vendita, grazie anche ai noti testimonial del mondo dello sport che indossano i loro prodotti. Un’altra azienda, invece, Nike, arranca nella corsa alle vendite, specie nel settore dedicato al basket.
Così, Sonny Vaccaro (Matt Damon), talent scout della divisione aziendale della pallacanestro, nonché amico dal fondatore e direttore di Nike, Phil Knight (Ben Affleck), viene incaricato di invertire questa tendenza, cercando una personalità sportiva che possa risollevare l’immagine dell’azienda.
Sfidando le reticenze dei colleghi, Vaccaro decide di impegnarsi per il coinvolgimento della stella nascente del basket Michael Jordan, per il quale propone la creazione di una scarpa che a lui si ispiri. Tuttavia, la prima persona da convincere non è tanto Jordan stesso, quanto sua madre Deloris (Viola Davis), che vuole salvaguardare il talento e le potenzialità del figlio.
Che cosa permette ad un prodotto di diventare unico, riconoscibile, desiderabile?
Lungi dall’essere una noiosa lezione di economia aziendale, Air – La storia del grande salto riesce a mostrare con efficacia le fasi di una delicata operazione di promozione commerciale, tra benchmarking e, soprattutto, fattore umano.
Così, per tornare alla citazione di apertura e rispondere alla summenzionata domanda, un capo, un oggetto, non sono solamente tali, ma acquisiscono valore perché con loro c’è un intreccio di esistenze che li ha concepiti e prodotti, uno sforzo creativo, oltre ad un circuito finanziario considerevole nel momento in cui sono immessi nel mercato.
La sceneggiatura di Convery e la regia di Affleck si amalgamano perfettamente, con il pregio di illustrare e far comprendere queste dinamiche con fluidità, in modo avvincente.
Il film, certamente incentrato su quello che è stato in primis un meccanismo di marketing, un business clamoroso, tra l’altro inedito (infatti, l’accordo finale raggiunto tra Nike e la famiglia Jordan prevedeva anche la concessione di una percentuale del fatturato vendite delle scarpe al giocatore, cosa mai avvenuta in precedenza), tiene tuttavia il focus sul forte coinvolgimento personale che i singoli individui mostrano nel progetto, tra tutti Sonny Vaccaro e la madre di Jordan, Deloris.
I due, non a caso, sono i veri protagonisti (Michael Jordan non viene mai mostrato in volto) e Matt Damon e Viola Davis li interpretano con pathos e convinzione: da un parte Damon/Vaccaro ha l’audacia di prendere l’iniziativa ed osare l’impensabile per salvare il suo comparto aziendale, dall’altra Davis/Deloris Jordan è decisa a valorizzare il talento del figlio, facendone anche una questione di dignità familiare e generazionale.
Infatti, altra importante suggestione che Air propone è quella della simbolicità che Michael Jordan ha nel tempo acquisito come figura di riscatto sociale per i cittadini neri americani e come, quindi, anche un paio di scarpe ha finito per rappresentare un segno di riconoscimento comune, un’identità collettiva.
Air – La storia del grande salto è un film ben curato, una storia interessante, con interpreti pregevoli: Ben Affleck conferma la sua bravura dietro e davanti la macchina da presa e la pellicola acquisisce, inoltre, quell’allure romantico-nostalgica grazie ad un’appropriata e dettagliata atmosfera anni ’80.
Da vedere.