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Commento al Vangelo della V domenica di Pasqua. Rinunciare al proprio “uomo vecchio” per dimorare in Cristo

Commento al Vangelo della Vi domenica di Pasqua - Anno A

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di Padre Gianpiero Tavolaro
Comunità Monastica di Ruviano (Clicca)

V Domenica di Pasqua – Anno A
At 6,1-7; Sal 32; 1Pt 2,4-9; Gv 14,1-12

Gesù e i discepoli in cammino (Jiil k. H. Geoffrion, 2012)

La relazione con Gesù non è riducibile a un semplice “sentire”, ma esige un’altra dimensione – propria, peraltro, dell’essere umano – che è quella del conoscere. Non a caso, nel Quarto evangelo tornano più volte i verbi del “conoscere”: all’inizio del capitolo dodicesimo, in particolare, Gesù afferma che i suoi conoscono la via del luogo dove sta per andare (siamo alla vigilia della Pasqua, nei cosiddetti Discorsi di addio) e alla domanda di Tommaso («Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?») risponde di essere Egli stesso la via: una via che è verità e, perciò, vita.
Conoscere Lui significa conoscere il vero volto di Dio.

La domanda rivolta a Filippo sulla conoscenza è, a questo proposito, diretta: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo?». Per Gesù il suo discepolo è uno che, conoscendo Lui – cioè, la sua umanità e la sua peculiare relazione con il Padre –, ha la capacità di attingere ad una conoscenza “straordinaria” di Dio: una conoscenza che non pretende di possedere in modo totalizzante ed esaustivo Dio, ma che mantiene il sapore di un’esperienza vivificante ed esistenziale di Lui.

Una tale conoscenza esperienziale, per quanto non esaustiva né definitiva (perché Dio è tanto di più, tanto oltre, tanto altro), è paradossalmente “piena”, perché è quanto ciascuno può esperire di Lui.

La conoscenza di Gesù che ai suoi discepoli è chiesto di avere, per essere veramente “con Lui”, è la capacità di riconoscere il suo volto e questa è un’opera che solo lo Spirito può compiere. È lo Spirito, infatti, che forma nel credente questo volto di Gesù che è rivelazione del Padre; è lo Spirito effuso nei cuori che dà la conoscenza esperienziale di Lui: è allo Spirito, dunque, che bisogna chiedere quel compimento dell’opera pasquale del Figlio, che è la rivelazione dell’autentico volto di Dio.

Solo chi vede Gesù comprende come Egli sia la via, la verità e la vita: tutte le auto-rivelazioni di Gesù nel Quarto evangelo hanno, d’altro canto, questa assolutezza (Egli è il buon pastore, la porta, la luce e così via). Questa assolutezza di Cristo, questa sua unicità, non è da declinarsi come integrismo, ma come la personale consapevolezza che il credente accoglie proprio (e solo!) a partire da quella conoscenza esperienziale che ha avuto la grazia di ricevere in dono: Egli, via da percorrere, verità in cui dimorare, vita da accogliere in dono.

Il credente sa che non ci sono altre vie, verità e vite, solo perché ne ha ricevuto viva rivelazione nelle pieghe profonde della sua esistenza con una conoscenza di Lui che gli ha donato pienezza di senso, fino a una capacità di amare come Lui ha amato, pur nelle sue fragilità e miserie! È solo questa esperienza che convince il cristiano che solo Gesù sia via, verità vita!

Accogliere Gesù come via, verità e vita, però, non può essere mai contro l’altro, ma è contro il proprio uomo vecchio! La conoscenza autentica di Gesù produce, infatti, una lotta “costosa” contro il proprio uomo vecchio, in una strada che conduce a quel “dimorare in Dio” che è l’approdo della vita credente per il Quarto evangelo («Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore»).

La dimora che Gesù rivela e che va a preparare con il suo “esodo” è la radice della possibilità che ci è data qui, nella nostra vita di credenti, di dimorare, rimanere in Lui, e fare della nostra vita un dimorare stabile nell’amore di Dio: questo “dimorare” è ciò che più conta per un’autentica svolta dell’autenticità cristiana.

Solo mediante questo dimorare in Dio il discepolo può assolvere la sua missione, che è quella di continuare la narrazione del volto paterno di Dio non mediante la sapienza dei discorsi mondani, ma mediante la “debole potenza” della sua Pasqua.

Se la Chiesa non narra Cristo in modo “debole”, a partire dall’esperienza di Lui e dal dimorare in Lui, essa rischia addirittura di divenire un “diaframma” tra Dio e il mondo, smarrendo la propria vocazione e rischiando di diventare come il mondo.

Discepolo autentico non è, allora, colui che presume di aver conseguito la perfezione morale, ma colui che, tenendo fisso il proprio sguardo alla dimora preparata per lui dal Cristo, custodisce nel suo cuore un unico grande desiderio: dimorare in Lui!

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