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Commento al Vangelo di domenica 14 maggio: “non vi lascerò orfani”, la promessa dello Spirito Santo

Commento al Vangelo, VI domenica di Pasqua Anno A

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di Padre Gianpiero Tavolaro
Comunità Monastica di Ruviano (Clicca)

VI Domenica di Pasqua – Anno A
At 8, 5-8;14-17; Sal 65; 1Pt 3,15-18; Gv 14,15-21

Arcabas, Trinità

Il tempo della Chiesa non è il tempo “ultimo”, ma “penultimo”: esso è, infatti, il “frattempo” che si colloca tra la prima venuta del Cristo e il suo ritorno alla fine della storia. È questo un tempo nel quale l’attesa del compimento ultimo e definitivo coabita con quella pienezza che Cristo, con la sua vicenda terrena (dal concepimento nel grembo di Maria all’Ascensione), è venuto a portare al cuore della storia degli uomini: il tempo della Chiesa è, dunque, un “frattempo” segnato dalla Pasqua di Cristo e dalle sue energie. In tal senso, questo tempo è anche un presente segnato dalla vera possibilità per i discepoli di Cristo di vivere, ricolmi di speranza, una presenza che, per quanto misteriosa, è efficacemente tangibile e operante nelle proprie vite.

Questa presenza promessa è il Paraclito, termine con il quale, nel Quarto evangelo, si intende lo Spirito santo nella sua missione di “difensore”, di “avvocato”: quella dello Spirito è una presenza che consola (il termine “paraclito” può avere anche questo significato), proprio a motivo del suo farsi accanto e difendere.

La difesa che lo Spirito realizza ha, secondo gli evangeli, una duplice accezione. Lo Spirito, infatti, difende il credente dagli assalti del mondo che lo perseguiterà: al capitolo 16 del Quarto evangelo Gesù parla delle persecuzioni che i suoi subiranno (cf. 16,2-3), ma già negli evangeli sinottici egli aveva detto che, dinanzi ai tribunali degli uomini, lo Spirito santo avrebbe messo sulle labbra dei discepoli perseguitati le parole di verità e di difesa (cf. Mt 10,17.20; Lc 12,11-12).

l Paraclito svolge, però, anche un altro ruolo di difesa: egli è il difensore di Dio e dei suoi diritti sui credenti, dinanzi alla mondanità che vuole soffocare la luce. Già la venuta del Verbo nella carne di Gesù di Nazareth può essere letta come la presenza di un primo Paraclito (perciò Gesù parla di una altro Paraclito), che è venuto a rivelare il vero volto del Padre, difendendo Dio dalle maschere perverse (tra cui anche quelle “religiose”) che gli uomini pongono sul suo volto: Gesù è il primo Paraclito, venuto a difendere il diritto d’amore del Padre, al quale ha riconsegnato a prezzo del suo sangue “i figli dispersi” (cf. Gv 11,52).

Ma poi, portata a compimento la sua missione, inizia il tempo in cui, al cuore dei credenti, verrà donato un altro Paraclito, presenza costante e discreta che difenderà i credenti in quanto difenderà Dio e i suoi diritti nei loro cuori, nelle loro vite, nella vita della comunità. Il Paraclito è, allora, il grande dono pasquale e per questo, al capitolo 20 del Quarto evangelo, il primo gesto del Risorto è mostrare il suo corpo trafitto, ma vivente, e soffiare lo Spirito per la remissione dei peccati!

Il “frattempo” della Chiesa è, dunque, il tempo di questa presenza, a un tempo rassicurante e scomoda: rassicurante, perché lo Spirito è la mano di Dio che guida la Chiesa a camminare nella via, nella verità e nella vita che è Cristo; scomoda, perché lo Spirito “grida” i diritti di Dio quando i credenti cedono ai compromessi con il mondo, pregando in loro con gemiti inesprimibili (Rm 8,26).

Il tempo della Chiesa è colmato di questa presenza che, invisibile e inconoscibile per il mondo, è invece esperibile a pieno dai credenti. Il mondo, dal canto suo, riceverà una rivelazione che è conseguenza di questa presenza invisibile e che consentirà, a coloro che avranno un cuore aperto all’ascolto, di accedere a essa: la testimonianza d’amore dei discepoli.

La sola presenza dei discepoli di Gesù, infatti, dovrebbe portare al mondo la potenza di difesa e di consolazione dello Spirito: i discepoli, come ricorda la Prima lettera di Pietro, sono resi capaci dallo Spirito di rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che li abita (cf. 1Pt 3,15).

La speranza è per il mondo molte volte illusoria e irragionevole, quasi illogica: chi, invece, ha conosciuto Cristo sa che c’è una ragione della speranza: Cristo crocefisso e risorto, che con il suo amore vince il mondo, rendendo gli uomini, schiavi del peccato, figli di Dio, nella potenza del Paraclito che, riversato nei cuori dei credenti, grida “Abbà! Padre!” (cf. Rm 8,15). Il discepolo di Cristo può (e deve) dare ragione della propria speranza, senza arroganza e senza giudizio, ma mostrando la ragione della speranza con la mitezza di Cristo. Sarà questa mitezza che racconterà Dio al mondo! Non ci sono altre vie, perché questa è la via di Cristo, la via che è Cristo!

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