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Le otto montagne: ora in TV il film vincitore del David di Donatello con Alessandro Borghi e Luca Marinelli

Disponibile su Sky Cinema dal 15 maggio la pellicola tratta dal romanzo Premio Strega di Paolo Cognetti

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Noemi Riccitelli – È passato circa un anno dalla presentazione in anteprima de Le otto montagne, scritto e diretto da Charlotte Vandermeersch e Felix van Groeningen, al Festival del cinema di Cannes 2022, nel corso del quale il film ha ricevuto il Premio della Giuria, prefigurando quello che sarebbe stato un percorso di successo e gratificazione.
Infatti, la pellicola tratta dal romanzo omonimo Premio Strega 2017 di Paolo Cognetti, da allora ha occupato un posto di elezione nell’animo di pubblico e critica.

Così, dopo aver conquistato anche il David di Donatello come Miglior film, oltre che nelle categorie Miglior sceneggiatura non originale, Miglior autore della fotografia e Miglior suono, Le otto montagne, distribuito al cinema dal 22 dicembre, è disponibile ora nella programmazione di Sky Cinema, dove è andato in onda per la prima volta lunedì 15 maggio, oltre che sulla piattaforma NowTV e per gli abbonati a Prime Video.
Alessandro Borghi e Luca Marinelli, due tra gli interpreti più amati del panorama cinematografico italiano, sono i protagonisti del film, suggellando una collaborazione e amicizia duratura nata proprio sui set.

Pietro (Luca Marinelli) e Bruno (Alessandro Borghi) si conoscono da bambini quando il padre di Pietro, Giovanni (Filippo Timi), e la madre Francesca (Elena Lietti) decidono di affittare una casa in un villaggio montano, lontano dalla caotica Torino, dove trascorrere il periodo estivo.
Estate dopo estate, i due sviluppano un legame sempre più intimo, anche perché Bruno è l’unico bambino del posto.
Tuttavia, diventati adolescenti, Pietro e Bruno si separano e seguono ognuno la propria strada: il primo, tra un’occupazione e l’altra, lontano dalla sua casa e dalla sua famiglia, il secondo rimanendo fedele alla montagna.
Si incontrano nuovamente da adulti, ricominciando a condividere una fase della loro vita insieme.

Ciò che sin dalle prime sequenze delle Otto Montagne emerge chiaramente è che il paesaggio montano (quello delle Alpi della Valle d’Aosta, la Val d’Ayas in particolare) non è solo un bellissimo sfondo, ma un protagonista comprimario che abbraccia e conquista ogni inquadratura, esaltato da una fotografia certamente brillante (di Ruben Impens).
La regia di Vandermeersch e van Groeningen sembra seguire proprio i ritmi lenti, cadenzati, necessari per solcare le vette più ripide e ardue, creando così una narrazione che, in progressione, coglie e rispetta l’intimità della storia.
Anche la sceneggiatura, curata dagli stessi registi, è un racconto in cui le voci dei protagonisti si alternano, bilanciate, ad altrettanti silenzi, lasciando ampio margine a suggestioni evocate invece dal linguaggio corporeo, sguardi, gesti, opportunamente curate dai validi interpreti.

Delicatezza e passione sono, infatti, le cifre caratterizzanti del cast: in particolare, Marinelli e Borghi puntano sul naturale feeling della loro reale amicizia, rappresentando un legame unico che non ha a che fare con il tradizionale, giocoso spirito cameratesco tra amici, cui si è solitamente abituati, ma un’affinità che rifugge le classiche determinazioni fondandosi su quella che sembra essere una distanza la quale, tuttavia, non è lasciata depauperata, ma nutrita di rispetto, complicità e sincerità che, al momento opportuno, riempiono quell’apparente iato.
Anche Filippo Timi ed Elena Lietti, l’uno con un profilo più marcato, l’altra con grazia e sensibilità, definiscono i loro ruoli in questa solida cornice.

Le otto montagne rappresenta un’eccezione alle più contemporanee pellicole in cui la necessità di colpire e coinvolgere il pubblico sembra influenzare anche il modo in cui il racconto viene elaborato, prediligendo clamore, discorsi-fiume, eccesso; qui, invece, Charlotte Vandermeersch e Felix van Groeningen optano per una prosecuzione della pagina letteraria da cui il soggetto del film nasce, delineando e curando un’opera intensa, tra accenti di malinconia, inquietudine, ma anche libertà e dolcezza.

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