di Padre Gianpiero Tavolaro
Comunità Monastica di Ruviano (Clicca)
Santissima Trinità – Anno A
Es 34,4-6.8-9; Dn 3; 2Cor 13,11-13; Gv 3,16-18
Nella Domenica della Santissima Trinità a essere celebrato non è un particolare mistero della storia della salvezza: in questa solennità, che segue immediatamente la Domenica della Pentecoste, compimento della Pasqua, viene celebrata la fonte da cui proviene ogni mistero del Dio-con-noi, dalla creazione – nella quale Dio sceglie di creare un “altro” da amare – al dono dello Spirito versato nei nostri cuori (cf. Rm 5,5) – con cui Dio sceglie di rimanere presso i suoi, dimorando in loro stessi. L’origine di ogni mistero della salvezza è la comunione trinitaria: l’origine senza origine della storia è un Dio la cui vita è comunione, relazione e amore. Questa è la sorgente della vita: di qui scaturiscono la creazione e la ri-creazione dell’uomo, anche se, perché il dono giunga fino all’uomo, nell’oggi concreto della propria condizione, Dio comunica in forme sempre nuove.
Nel Quarto Evangelo, all’interno del lungo racconto dell’incontro tra Nicodemo e Gesù, questi dice: «come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo» (3,14): è nel volgere lo sguardo all’ “Innalzato” che si ha la vita, così come gli israeliti mormoratori, avvelenati dal morso dei serpenti, avevano la salvezza se volgevano lo sguardo al serpente di rame innalzato da Mosè (cf. Nm 21,4-9): come, infatti, il serpente innalzato dà la salvezza, ricordando il peccato che è sempre quello dell’in-principio – ossia, quello di una parola mormoratrice che tutto avvelena e distorce, anche il volto amorevole di Dio –, così il Crocifisso innalzato dà la salvezza, ricordando l’iniquità e il peccato, del quale il corpo straziato e torturato del Figlio dell’uomo è la visibilizzazione.
E come il Dio manifestatosi nella sua “unità” ha salvato, per amore, il popolo errante nel deserto e continuamente esposto alla dimenticanza dell’opera di Dio e alla mormorazione contro di Lui, così il Dio manifestandosi nella sua “trinità” salva, sempre per amore, l’uomo incapace di riconoscere in Gesù il compiersi dell’opera di Dio. Nell’Antica come nella Nuova Alleanza all’opera è sempre lo stesso Dio, che, in modo diverso, non fa che rivelare la sua verità più intima: il suo amore per l’uomo («Dio è amore», 1Gv 4,8). E di questo amore la Scrittura testimonia la progressiva rivelazione, fino a quello svelamento trinitario che costituisce l’accesso più profondo e compiuto, ma anche più paradossale e scandaloso, al volto del Dio biblico.
Dio è Padre che ama il mondo tanto da dare il suo Figlio; è Figlio che non teme di farsi innalzare immergendosi tutto nel peccato dell’uomo; è Spirito che fa rinascere dall’alto (cf. Gv 3,5). La rivelazione del volto trinitario di Dio conduce a un Dio che non è un sistema morale, ma un “sistema di dono” e di fronte a un dono non bisogna fare altro che accogliere e farsi rigenerare: in tal senso, la vita pasquale del discepolo di Cristo, non è (e non può essere compresa come) una nuova morale, ma una rinascita con cui si può venire fuori dalle tenebre di morte del peccato per venire ad abitare nel grembo dell’amore trinitario che plasma l’uomo nuovo.
Novità da accogliere, questa vita è anche una lotta, per contrastare l’uomo vecchio che vorrebbe tornare in un altro grembo, quello mondano. Il Dio Tri-Uno, infatti, ha pagato il “caro prezzo” della lacerazione e dell’accoglienza in sé del dolore e perfino della morte: «Unus de Trinitate passus est». Questo Dio ha aperto il mondo nuovo, riversando su ogni carne lo Spirito, che sempre accompagna l’uomo nella fatica storica della fedeltà, per custodire – nella lotta – l’uomo rinato dall’alto (cf. Gv 3,1-8).
La comunità cristiana celebrerà effettivamente la Trinità quando sarà disposta ad aprirsi a quella stessa gratuità, a quello stesso amore, a quella stessa comunione che è Dio!