Ines Carlone di Raviscanina, nel 2014 inizia il suo cammino vocazionale nella Congregazione “Figlie di Maria Missionarie”. Dopo due anni di preparazione a Roma, nell’ottobre del 2016 parte per la sua prima missione in Costa d’Avorio. Oggi suor Ines si prepara a partire per l’India, dove le Figlie di Maria Missionarie guideranno una nuova missione. Alla vigilia della sua partenza, accompagniamo suor Ines con la preghiera, affinché possa vivere questa nuova esperienza con serenità, e pubblichiamo le sue impressioni nell’intervista che segue.
Per prima cosa ripercorriamo brevemente la tua storia vocazionale.
Credo che Dio mi abbia proprio afferrato, quando meno me lo aspettavo, in un momento di maggiore introspezione, fragilità. I miei sensi erano allora più vigili, docili all’ascolto. Chi e cosa voglio essere? Una domanda che nella routine e nel caso dell’odierna società è urgente, voca ogni giovane ma che spesso finisce nel dimenticatoio o nella superficialità.
Tutta persa nei miei studi universitari ed un po’ rintontita dalla vita non ci pensai più di tanto a rispondermi, ad entrare in me stessa. All’età, non più tanto giovane di 33 anni, sentii proprio risvegliarsi in me il sogno di bambina, ovvero di diventare suora.
In più, la mia natura di esploratrice, persona energica e d’azione, mi ha indotto a scegliere una congregazione missionaria: le Figlie di Maria Missionarie.
Come hai accolto la “chiamata” alla missione in India?
Con una gioia immensa. Sono ri-emersi a galla tutti i ricordi dei bei tempi trascorsi in Costa d’Avorio, la mia prima Africa. Non ho visto solo la miseria che è una realtà che ormai ci accomuna tutti negli ambiti più svariati, anche quelli spirituali e dell’animo.
Ho trovato tanta ricchezza che ha stravolto il mio modo di concepire il mondo, la mia maniera di vivere. Dagli africani ho imparato a dare più valore al contatto umano, al sentirci tutti fratelli e sorelle. Oggi quando li incontro in Italia ho maggiore facilità ad avvicinarmi e so che la cultura è ben altro che solo folklore: è un modo di sentire, di vivere, un’identità. Non vedo l’ora di lasciarmi conquistare dall’India a questo punto.
Quali sono gli impegni sui quali si concentrerà la vostra missione?
Noi cerchiamo di vivere con la consapevolezza che sono le donne che cambieranno il mondo e dalle donne tutto dipende, le sorti dell’intera società. La missione fondamentale delle Figlie di Maria Missionarie è per l’appunto racchiuso in queste parole del nostro fondatore don Giacinto Bianchi, missionario apostolico: “L’istituto è iniziato, il suo programma è tutto compreso nel nome Missionarie di Propaganda Figlie di Maria, nome che abbraccia la fede e la carità, l’intelletto ed il cuore, la parola e l’opera, la compassione e l’amore, la donna e Dio“. Chiaramente poi ci relazioniamo, facendo della relazione una missione (Dio è relazione) con giovani, ragazzi, bambini. Noi non siamo Missionarie nelle strutture ma soprattutto nelle periferie del mondo, dove ci troviamo: per strada, nei quartieri, sui mezzi di locomozione. Essere missionari ad gentes è proprio questo zelo apostolico che diventa un’identità, una vocazione speciale più che un preciso dovere o ambito.
Alla luce del percorso fin qui fatto, quale insegnamento di vita metterai “in valigia” prima di partire per questo nuovo viaggio?
La vita religiosa è fatta anche di obbedienza, uno dei consigli evangelici che ho rinnovato da poco. L’obbedienza ora è prima di tutto redentiva, il sapersi abbandonare criticamente, e qualche volta ciecamente, alla volontà di colui per cui nulla è impossibile. Non credevo così vicino il poter di nuovo partire per una nuova missione e Dio un po’ mi ha sculacciato.
Mi ha insegnato così a fidarmi di lui un po’ di più, e soprattutto delle persone che hanno più esperienza di me.
Che cosa, invece, ti aspetti da questa esperienza in India?
Mi aspetto di vivere a 360° la vita comunitaria in un paese nuovo per me. Sentirsi un po’ straniero aiuta spesso a svuotarsi delle false sicurezze. Ciò si presta a sentire la buona novella, la novità del Vangelo con lo stupore. Questo essere diversi ci rende ancora di più fratelli. La mia comunità sarà composta di una suora brasiliana, una suora indiana ed io che sono italiana. In fondo in fondo, tutti prendiamo un po’ dall’uno, un po’ dall’altro. Il fondatore ci sprona ad essere “figlie diverse di costumi, usi, tradizioni e vestiario che devono non solo vivere a contatto ma vita Natural fondersi”. È l’esperienza concreta di vita e di fraternità che cercheremo insieme di realizzare.
Leggiamo da un nostro vecchio articolo che proprio in questo mese, nel 2020, hai pronunciato la tua prima professione dei voti religiosi: vuoi farci un piccolo bilancio di questi anni?
Non è stato semplice ma la gioia è fatta del non gettare mai la spugna. Ci sono stati dei momenti in cui ho davvero pensato di avere sbagliato strada. Mi sono trovata nel deserto con Gesù e poi sulla vetta della montagna in cui le maggiori tentazioni sono i nostri desideri di onnipotenza, di possesso. Poi la preghiera mi ha sempre aiutato ad orientare rettamente i miei pensieri ed a saperli tradurre in azione. La preghiera vera è fatta di contemplazione ed azione. Fino ad ora posso dire di aver fatto, e non da sola, molta missione in Italia. Mi sono anche prestata nel servizio di autombulanza e di prossimità, di supporto alle confraternite delle Misericordie. Sono stata una presenza per molte realtà. Ma a conti fatti bisogna sempre trovare un tempo, anche soli pochi secondi, per rifugiarsi in Dio e nella sua volontà. Mi sono resa conto fattivamente di ciò. Ho scoperto poi in me doni che non credevo di avere.
Ai giovani in ricerca, da te che giovanissima hai detto “sì” al Signore, quale messaggio ti va di lasciare prima di partire?
Gesù diceva in un mare agitato: “Non temete”. Questo mare agitato é la realtà che stiamo vivendo con tutti i suoi problemi. La nostra ancora di salvezza è il coraggio di osare anche sbagliando. La paura di sbagliare paralizza e non ci fa migliorare il mondo che ci circonda. Allora, giovani: “Non temete”! Siate i veri protagonisti di un mondo pieno di speranza. C’è bisogno di noi!