Noemi Riccitelli – Presentato in anteprima mondiale durante la 76esima edizione del Festival di Cannes, a maggio, Indiana Jones e il Quadrante del Destino (Indiana Jones and the Dial of the Destiny) arriva al cinema dal 28 giugno, dopo la première italiana tenutasi a Taormina, nel corso dell’omonimo Festival del Cinema.
Harrison Ford ritorna per l’ultima volta nelle vesti del celeberrimo archeologo-avventuriero che faceva il suo esordio sul grande schermo negli anni ’80, con la memorabile trilogia che includeva I predatori dell’arca perduta (Indiana Jones and the Raiders of the Lost Ark,1981), Il tempio maledetto (Indiana Jones and The Temple of Doom,1984) e L’ultima crociata (Indiana Jones and The Last Crusade,1989), diretti da Steven Spielberg e co-scritti e prodotti da George Lucas.
Una saga cinematografica che è tra le pietre miliari della storia del cinema, che ha definito le linee guida del genere avventura e, ovviamente, segnato l’immaginario collettivo di appassionati spettatori nel tempo, creando un nuovo modello di eroe: uno studioso, amante di storia e antichità, con il gusto per gli inseguimenti e lotte adrenaliniche.
A contribuire all’iconicità di lunga durata del franchise anche l’inimitabile e unica colonna sonora firmata dal maestro Premio Oscar John Williams, che ha curato le musiche anche in questo nuovo capitolo.
In realtà, già dopo circa venti anni dall’ultimo film della trilogia, nel 2008, Lucas, Spielberg e Ford si ritrovarono in un quarto film della saga, Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo (Indiana Jones and the Kingdom of the Crystal Skull) -vagheggiato, sembra, già negli anni ’90-che includeva nel cast, tra gli altri, John Hurt, Cate Blanchett e Shia Labeouf; tuttavia, nonostante l’ennesimo successo, il film ricevette critiche contrastanti e i fan non ne furono particolarmente entusiasti.
Così, ancora dopo quindici anni, la produzione ci riprova, ma Indiana Jones e il Quadrante del Destino segna una novità rispetto alla tradizione: la regia è di James Mangold (suoi i noti Ragazze interrotte, Kate and Leopold, Quel treno per Yuma e, tra i più recenti, Logan – The Wolverine) diventando così la prima pellicola della serie non diretta da Spielberg (che, però, è produttore esecutivo insieme a George Lucas).
1969. Mentre gli Stati Uniti celebrano un momento fondamentale della storia dell’umanità, l’allunaggio, il professor Jones, aka Indiana “Indy” Jones (Harrison Ford), si prepara al suo definitivo ritiro dal mondo accademico, ma anche da quello delle sue grandi avventure.
Infatti, è provato fisicamente, ma soprattutto nel suo animo, dopo la prematura scomparsa del figlio in guerra e la separazione dall’adorata moglie Marion (Karen Allen).
Tuttavia, quando Helena Shaw (Phoebe Waller-Bridge), figlia del suo fraterno amico e collega Basil Shaw (Toby Jones), gli chiede informazioni circa il Quadrante di Archimede, prezioso manufatto che i due avevano trovato insieme nella Germania nazista, il professor Jones si trova coinvolto in un delicato caso internazionale e l’animo di Indiana Jones riemerge preponderante.
Ad interessarsi al Quadrante c’è però anche Jürgen Voller (Mads Mikkelsen), ex gerarca nazista, ora collaboratore in incognito della NASA.
Gli appassionati estimatori lo sanno: la Storia e le sue affascinanti declinazioni sono sempre state l’ispirazione principale delle azioni di Indiana Jones.
Ovunque nel mondo, il poliedrico archeologo si è sempre lasciato guidare sì da un istinto spericolato, ma soprattutto da una ferrea etica personale, che ha sempre avuto come cuore pulsante le persone, i suoi cari e, ovviamente, i memorabilia del passato, protetti ad ogni costo nella loro unicità di testimoni del tempo.
Ebbene, in Indiana Jones e il Quadrante del Destino il tempo è ancora un grande protagonista, non tanto nelle sue propaggini materiali, documenti, reliquie del passato (che pure ci sono), quanto come sentimento.
Infatti, se la regia di Mangold aderisce perfettamente al filone della saga per tono e ritmo incalzanti, rispettandone le caratteristiche salienti con sequenze di inseguimenti, combattimenti, e anche crudezza, il regista si concede inoltre una riflessione dolce-amara sull’esistenza e il suo senso, che attraversa tutta la pellicola, contornando in particolare la figura principale di Ford/Jones.
Così, in questa pellicola, egli stesso diventa un prezioso testimone di ciò che è stato, un totem: lo è sicuramente per il pubblico, che lo guarda, dopo decenni, con ammirazione, rispetto, e quello stupore di sempre; ma è anche Ford/Jones che, seppur ormai molto maturo, forse disilluso, si illumina non appena vede la sua fedora e frusta che il fidato Sallah (John Rhys-Davies) gli porge, ricordandogli di cosa sia fatto il suo animo, profondendogli una rinnovata fiducia in sé.
Senza dubbio, Harrison Ford merita un plauso particolare: la sua interpretazione è ferma, efficace, eppure non manca di tenerezza, di pathos, specie nella bellissima sequenza finale.
Il profilo del suo personaggio rimane brillantemente inalterato, rispettando quel tempo che, inesorabile, è trascorso, con la volontà di assecondarlo naturalmente.
Accanto a lui, tra i personaggi di sempre, il già citato John Rhys-Davies nei panni di Sallah, suo storico amico, e Karen Allen in quelli di Marion Ravenwood, il suo grande amore;
si aggiungono, invece, in questo nuovo capitolo, la frizzante Phoebe Waller-Bridge, che restituisce un personaggio intraprendente, fiero, sui generis, e Mads Mikkelsen che, meravigliosamente granitico, non poteva essere più in parte di così.
Dunque, tra i più tradizionali riferimenti alla storia originale (il più evidente è la ritrovata controparte malvagia rappresentata dai nazisti) e nuovi, opportuni snodi narrativi, Indiana Jones e il Quadrante del Destino riesce a coinvolgere e a conservare quel fascino di narrazione sempreverde che ne ha fatto una delle più belle creazioni del cinema.
Un degno congedo: Indiana Jones saluta la sua storia e il suo tempo da compagno alla pari.