di Padre Gianpiero Tavolaro
Comunità Monastica di Ruviano (Clicca)
XVI domenica del Tempo ordinario – Anno A
Sap 12,13.16-19; Sal 85; Rm 8,26-27; Mt 13, 24-43
Il mondo delle parabole – mediante il quale Gesù conduce i suoi a una conoscenza più profonda del mistero del Regno e del suo discreto farsi strada all’interno della fragile e spesso insensata storia degli uomini – non è solo il mondo visitato dal seminatore che, senza avarizia né calcolo, getta il seme della Parola che rinnova: Gesù, con la “parabola del seminatore” ha invitato i suoi a riconoscere – mediante una lettura lucida e intelligente del reale – che in questo mondo, nonostante l’efficacia del seme, vi è spazio anche per la non-accoglienza della Parola. Ma non è tutto qui: le parabole intendono rendere ragione anche del proliferare del male che si oppone al buon seme della Parola e infesta la terra degli uomini, contrastando la venuta del Regno.
Il male ha sempre interpellato gli uomini e soprattutto gli uomini che credono in Dio o vogliono credere in Lui: dov’è Dio, mentre il male flagella e uccide l’uomo? dov’è Dio mentre il male uccide i giusti e gli innocenti? Di fronte al male, che sembra segnare inesorabilmente la vicenda umana, il silenzio di Dio si è fatto talmente pesante e, per tanti, doloroso nel corso dei secoli, fino a produrre, in tempi relativamente recenti, la “morte di Dio” nel cuore di molti. È proprio il tema del male ciò che la parabola della zizzania intende affrontare, ma senza la pretesa di risolverlo né, tanto meno, di dare risposte esaustive (anche perché – secondo la strategia propria del linguaggio parabolico – una parabola non intende mai “chiudere”, ma “aprire”, interpellando direttamente i suoi interlocutori e invitandoli a prendere posizione di fronte alle grandi domande dell’esistenza, dentro le quali Dio stesso si rende presente, con una parola di domanda e di promessa).
Di fronte alla constatazione della presenza del male e del suo coabitare nel mondo con il bene, il problema è come vivere il tempo della storia. La prima cosa che la parabola dice è che non esistono due campi, uno di buon grano e uno di zizzania: grano e zizzania sono nel medesimo campo e sono l’uno accanto all’altra. Rispetto a questo dato di fatto, la parabola invita con fermezza alla pazienza: la zizzania non si deve sradicare, perché si danneggerebbe il buon grano, ma anche perché grano e zizzania non si distinguono bene l’uno dall’altra e perché, tra il tempo della semina-crescita e il raccolto, c’è un tempo che è quello della pazienza, che è il tempo dell’attesa. In altre parole, in questo tempo intermedio Gesù invita i suoi a non cedere alla tentazione di dare giudizi definitivi, non solo perché si può avere la speranza certa che la distinzione verrà fatta (come ribadisce la spiegazione aggiunta dalla comunità matteana alla parola), ma anche perché Gesù insinua la speranza che la zizzania possa trasformarsi in grano (cosa possibile solo nel mondo delle parabole).
Quello che Gesù propone è, dunque, un vero e proprio “evangelo”, una buona notizia, che riguarda non solo gli ultimi tempi, ma anche l’oggi dell’uomo. L’oggi non è il tempo nel quale pretendere di sradicare la zizzania: questa operazione sarebbe talmente rischiosa che lo stesso buon grano potrebbe essere sradicato dalla pretesa di emettere giudizi cattivi e definitivi. Gesù sembra così dire che la formulazione di giudizi definitivi da parte di chi si sente talmente giusto e talmente al di sopra delle parti da riuscire a riconoscere nitidamente il grano e la zizzania è nociva: essa è cecità, non misericordia; è stoltezza e non pazienza; è rigorismo e non makrothymía (“sentire in grande”, “grandezza d’animo”)! Nel giudizio definitivo e anticipato si manifesta, in realtà, la mancanza di quella speranza, che dovrebbe invece, per il credente, animare la storia. La parabola della zizzania – come le altre parabole del Regno – invita a entrare nella logica “illogica” di Dio: invita, cioè, ad accogliere il vangelo come stile del proprio vivere, del proprio sentire e del proprio pensare.
La via che questa parabola invita a percorrere è quella della pazienza. Non a caso tra la parabola della zizzania e la sua spiegazione Matteo pone due brevissime parabole-paragoni: quella del granellino di senape e quella del lievito. C’è una piccolezza, che deve pazientare per diventare altro ed essere al servizio di altri (gli uccelli che trovano rifugio tra i rami della senape cresciuta e la massa della pasta che tutta benefica dalla forza del lievito): sia l’uomo che semina il granellino di senape, sia la donna che impasta hanno un tempo da vivere nell’attesa e questo è un tempo di pazienza, nel quale si deve sospendere ogni velleità di una Chiesa di puri, di una umanità beata.
La spiegazione che Matteo dà della parabola della zizzania porta al termine di questo tempo di attesa. Questa pagina è così difficile che la Chiesa ha faticato molto a comprenderla e a viverla: è continua, infatti, la tentazione di liberarsi della zizzania, di formulare giudizi definitivi, di difendere i buoni dalla zizzania sradicandola. È difficile percorrere le vie dell’evangelo, è difficile pazientare e attendere con speranza: è la grande sfida per il credente!