La recente vittoria del Palio di Siena da parte della Contrada dell’Oca (la 66esima) con il cavallo scosso Zio Frac ci consente di riportare l’attenzione sul legame tra la storica Contrada e un suo benefattore, uomo simbolo del Matese e promotore illustre di cultura in Campania e fuori: parliamo del conte Antonio Filangieri di Candida Gonzaga il cui nome ci riporta a San Potito Sannitico dove visse lungamente e dove ancora oggi Palazzo Filangieri è memoria vivente della cultura di cui gli avi furono protagonisti.
Le immagini allegate a questo articolo e i dettagli storico narrativi – una mostra d’arte a Siena e la ricevuta di un beneficio da lui concesso alla Contrada dell’Oca – ci aprono a questa suggestiva e utile pagina di storia.
Flaminia Candida Gonzaga – Nel febbraio del 1904, il conte Antonio Filangieri di Candida era da poco rientrato a Napoli, dopo una permanenza ininterrotta di alcuni mesi a San Potito Sannitico quando gli fu consegnato dall’amico Benedetto Croce un telegramma che lo invitava con una certa urgenza a recarsi a Siena.
Nelle sue intenzioni il rientro in città dalla campagna doveva essere momentaneo, dopo che nell’agosto precedente aveva improvvisamente deciso di ritirarsi a vivere a San Potito Sannitico, abbandonando l’attività e gli studi che aveva fino ad allora condotti con ininterrotto impegno e grande passione. La caduta del governo Zanardelli sul finire dell’anno e il cambio ai vertici del Ministero dell’Istruzione non gli sembrava avessero portato alcun reale mutamento: mi pare che il presente Ministro sia lo stesso di Nasi, aveva commentato. Ed era stato proprio al Ministro Nunzio Nasi che aveva indirizzato da San Potito Sannitico, il 19 agosto 1903, una lettera durissima dimettendosi dall’incarico onorifico che ricopriva al Museo Nazionale di Napoli. Non aveva potuto fare diversamente dopo essere entrato in rotta di collisione con il direttore del Museo, il professore di storia antica Ettore Pais, nonostante l’impegno che aveva dedicato al riordinamento della Pinacoteca, come assistente del professor Adolfo Venturi. Anche il ministro aveva avuto le sue responsabilità, avendo trattenuto il decreto di nomina che gli era stato promesso, che pure aveva terminato l’iter delle firme e delle approvazioni. Tutto il percorso che Antonio Filangieri aveva fino ad allora condotto, cumulando due lauree, in Giurisprudenza ed in Lettere, aggiungendovi il diploma della Scuola Italiana di Studi dell’Arte, pubblicando negli anni ricerche storiche, studi importanti e resoconti delle proprie attività, in particolare quella di riordino della Pinacoteca, diventando poi un interlocutore prezioso per tutti gli studiosi che dall’estero si recavano a Napoli e si interessavano dei tesori dell’arte del Mezzogiorno da far scoprire grazie a loro fuori dai confini nazionali, tutto questo era sembrato irrimediabilmente compromesso. Era stato il suo amico Benedetto Croce che dall’inizio del 1903 conduceva una campagna feroce di denuncia contro la perversa gestione del Museo di Napoli operata dal Pais ad averlo messo di fronte alle conseguenze del suo gesto, scrivendogli che dopo il passo che aveva compiuto doveva considerare tutto come perduto, ed aveva aggiunto che non gli restava che riporre in altro lo scopo della sua attività, intendendo con questo invitarlo a tornare agli studi. Ma il conte Antonio Filangieri che non si era limitato ad inviare dall’ufficio postale di San Potito Sannitico la sua lettera al Ministro, l’aveva fatta avere anche al Giornale d’Italia ed era stato poi anche Croce a pubblicarla con un suo cappello su Napoli nobilisssima. La faccenda si era fatta incandescente e Tony, come veniva chiamato in famiglia, si era ritirato a vivere nel palazzo di San Potito Sannitico dedicandosi totalmente alla campagna e tentando di trovare nell’amministrazione dei beni di proprietà della moglie Giulia Gaetani di che riempire le sue giornate e la sua mente.
Poi però era stato proprio Benedetto Croce a rimetterlo in corsa, il 24 febbraio 1904, mostrandogli il telegramma che aveva ricevuto dal comune amico, l’archeologo e storico dell’arte Corrado Ricci che in quel periodo era direttore delle Reali Gallerie e Musei di Firenze: Pregoti interessare Filangieri di Candida venire aiutarmi ordinare durante marzo e metà aprile esposizione arte antica Siena ed aveva aggiunto, attendo risposta telegrafica dovendo subito provvedere. Non c’era stato bisogno di insistere, l’incarico era stato accettato e comunicato a Siena, da dove il sindaco Alessandro Lisini a stretto giro ringraziava Tony a nome suo e dei membri del Comitato esecutivo della Mostra. Anche il conte Pietro Piccolomini gli aveva inviato un telegramma, non appena aveva saputo della sua prossima venuta a Siena e l’aveva invitato a tenere presso l’associazione Pro Cultura, che insieme alla sorella Bianca aveva contribuito a fondare, una conferenza su due ricerche storico-artistiche o su altro tema, a sua scelta.
Il 29 febbraio, Corrado Ricci gli telegrafava: Trovatevi lunedì sette Firenze Uffizi martedì partiremo insieme per Siena. Ad ogni buon conto, al suo arrivo a Siena, gli veniva recapitato dal Comune il Permesso di libera circolazione, per la carrozza del Sig. Conte Filangieri. Gli erano giunti anche due biglietti di invito, il primo valido per trenta giorni consecutivi, il secondo per giorni 15 ai termini dello Statuto. Si trattava rispettivamente della R. Accademia dei Rozzi e l’invito era firmato dal Virtuosissimo S. Arcirozzo, sulla proposta dell’Accademico contribuente, Sig. Pilade Bandini; e con la stessa data quello del Circolo degli Uniti, su proposta del Socio Enrico Crocini, che lo invitava a frequentare le loro sale.
Di tempo però in quei giorni non doveva avanzargliene molto, preso com’era dall’allestimento della Mostra che doveva inaugurarsi il 17 aprile e c’era ancora da metterla tutta in opera. Si concedeva comunque il tempo di un breve resoconto a Benedetto Croce, a cui scriveva il 19 marzo 1904:
Eccoti notizie. L’esposizione sarà certamente una cosa buona. Il palazzo ove sarà fatta è una meraviglia come sai. Vi sono oggetti d’arte che sono tesori non mai visti. Io per parte mia sono assai contento di occuparmene, e ti ringrazio di avermelo consigliato. Però lavoro moltissimo e lavorerò più di quanto credevo. L’esposizione, benché ne parlassero da due anni, non era stata maturata tra questi bravi signori. Questioni personali, e paure delle responsabilità hanno pure non poco contribuito a che concludessero relativamente poco. Io tra non molto dovrò venire per un giorno e parleremo a lungo. C’è da pensare a tutto! Oggi ritornerà il caro Ricci e spero che si tratterrà alcuni giorni. Egli è stato anche qui con me il 7 e poi non ha potuto più venire. Ora lo tratterrò quanto più potrò, perché bisogna far voli in pochissimo tempo. Il Ricci è molto buono per me e mi da tutta la sua fiducia. È così che posso andare avanti altrimenti non si farebbe nulla. Ora non è più tempo di discutere ma di fare i fatti. Siamo ormai alla vigilia dell’inaugurazione. Mi sto occupando molto, tra le altre cose, della decorazione della scala del Palazzo del Podestà, ove si farà l’esposizione. Quella scala è una stonatura, perché è del seicento, e non ha decorazioni di marmi antichi. Le pareti sono freddissime e discordanti da tutto il resto. Mi sono dato a frugare in tutti i magazzini e sotterranei di Chiese, ospedali, dell’opera del Duomo, ecc. ed ho trovato cose eccellenti per la decorazione e le sto facendo collocare in opera. Tra queste un portale o fondo di cappella del quattrocento, con stemmi policromi, di una bellezza straordinaria. L’ho esumato da un sotterraneo del Duomo in frantumi: aveva fatto da riempimento ad un altare barocco il quale poi fu demolito e riposto in magazzino con tutti quei frammenti che stavan sotto. Ti scriverò altre notizie. Non voglio oggi indugiare a scriverti. (nota 1)
In via provvisoria veniva stampata una breve guida, in vendita al prezzo di centesimi 10, fatta per facilitare ai visitatori il percorso della Mostra e indicare, per sommi capi, la varia disposizione e le cose principali. Ma poi si sarebbe dato alle stampe il Catalogo Generale Illustrato, ed il nome del conte Antonio Filangieri di Candida sarebbe comparso tra quelli dei Commissari ed avrebbe avuto una citazione tra quanti ebbero più parte nell’ordinamento della Mostra.
Erano molti i capolavori di pittura ospitati dall’esposizione, occupavano quindici sale sulle quaranta complessive, disposte su tre piani e distribuite su trenta sezioni, per un totale di duemila opere che testimoniavano la produzione artistica senese dal XIV al XVIII secolo. I generi erano molteplici: oreficeria, bronzi, mobili, codici miniati, arazzi, monete, medaglie, sigilli, ferro battuto, armi, ceramica. Erano esposte anche stoffe e ricami e per questo era stata coinvolta anche donna Giulia Gaetani che si meritava una citazione nella prefazione di Corrado Ricci al Catalogo, dove si ricordava che all’elegante disposizione delle stoffe, con speciale conoscenza, aveva concorso anche lei, la contessa Filangieri di Candida.
All’inaugurazione, il 17 aprile fu presente non solo il Ministro della Pubblica Istruzione, Vittorio Emanuele Orlando, ma anche il re Vittorio Emanuele III, in persona. Fu offerto un Concerto vocale e strumentale curato dalla Regia Accademia dei Rozzi con musiche di Massenet, Paganini, Liszt e Mascagni.
La Mostra fu un grande successo e finì coll’essere prorogata di altri due mesi oltre la fine di agosto prevista. Il Palio straordinario che si corse il giorno dell’inaugurazione fu vinto dalla contrada del Leocorno e la sua concomitanza con l’esposizione, che ebbe vasta ecco anche al di fuori dell’Italia, contribuì a dare al Palio la notorietà e il rilievo che da allora richiamò a Siena il turismo del nuovo millennio.
Quanto a Tony, era stato invitato ad iscriversi come Benemerito Protettore alla Contrada dell’Oca. Nell’archivio che conserva la sua corrispondenza di quegli anni nel palazzo di San Potito Sannitico, dove sarebbe tornato a vivere per altro tempo ancora, resta la sua iscrizione alla Contrada dell’Oca anche negli anni successivi. La ricevuta del 2 luglio 1906 è spillata con i festeggiamenti per la 45° vittoria del Palio riportata allora dalla Contrada dell’Oca, al merito del valoroso fantino Angelo Meloni, detto Picino e con il sonetto stampato per l’occasione, per l’insuperabile, bellissima vittoria, che il nome dell’”Oca” incorona di gloria, conseguita alla zitta, senza tanto clamore e perciò più gustosa, più degna d’onore.
Sulla carta intestata della Nobile Contrada dell’Oca gli scriveva don Duilio Bani, raccomandandogli di non venir meno alla sua oblazione annuale, in modo che per lungo tempo lo Stemma Gentilizio dei Filangieri di Candida Gonzaga potesse restare a corona del grazioso e artistico nostro Oratorio che fu un giorno casa della grande Santa Caterina.
1. La lettera di Antonio Filangieri a Benedetto Croce del 19 marzo 1904 è conservata presso la Fondazione Biblioteca Benedetto Croce a Napoli (Archivio di Benedetto Croce, missive di Antonio Filangieri di Candida, cor. 311).
Della stessa autrice, su Clarus del 16 luglio 2021
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