Giovanna Corsale – Il culto di Santo Stefano Minicillo. Storia e costruzione dell’immagine di un Santo taumaturgo è il titolo del Convegno che si è tenuto il 2 settembre scorso a Caiazzo, in seno alla settima edizione di Medievocando, la manifestazione promossa dall’Associazione omonima il cui presidente è Giuseppe Puorto. Il Convegno si inserisce nell’anno del Giubileo straordinario, indetto dal vescovo mons. Giacomo Cirulli in vista del millenario della morte del Santo, Patrono del capoluogo caiatino e compatrono della diocesi di Alife-Caiazzo, avvenuta il 29 ottobre del 1023.
Ad approfondire la complessa quanto affascinante figura di Santo Stefano Minicillo Serena Morelli, docente presso l’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” Dipartimento di Lettere e Beni Culturali e mons. Alfonso Caso, vicario generale della diocesi di Alife-Caiazzo, i cui interventi sono stati moderati da Francesco Vocile, segretario dell’Associazione Culturale Medievocando.
GLI INTERVENTI
Prof.ssa Serena Morelli – La storia del Santo, nato nel 935 nella regione dei Lagni, oggi comune di Macerata Campania, abbraccia un periodo piuttosto lungo che va dall’Alto Medioevo all’Età Moderna ed è stata oggetto di un’agiografia piuttosto articolata. La figura di Santo Stefano Minicillo è importante, dal momento che ha dato luogo a una serie di lavori che non si sono mai fermati, ai quali diversi sono gli studiosi che vi si sono dedicati: tra essi, Galante, Di Dario, mons. Chichierchia. La ricostruzione della biografia del Santo rimanda al 942, quando, a sette anni, entrò nella Badia di San Salvatore Maggiore; poco dopo essere stato ordinato sacerdote, nel 965, venne nominato successore del defunto abate Pietro, durante l’Episcopato di Capua di Giovanni, figlio di Landolfo II e fratello di Pandolfo. Consacrato il 1 novembre 979 dall’arcivescovo di Capua Gerberto, O.S.B. (978-980), assistito da Alderico, vescovo di Calatia, e Leone, vescovo di Sora, a soli 44 anni si trovò a guidare un territorio complicato, in cui diverse erano le problematiche da affrontare, dalla sonnolente presenza del clero alla pretesa di emancipazione dal potere politico manifestata dalla Chiesa. Tuttavia, il Vescovo Stefano Minicillo, seppe contrastare il difficile contesto religioso e sociale grazie a un’attività pastorale molto incisiva, il cui punto di forza è rappresentato dalle capacità taumaturgiche che gli sono attribuite. A Santo Stefano Minicillo vengono riconosciuti diversi segni, che gli studiosi distinguono in miracoli ante mortem e miracoli post mortem: nella prima categoria rientrano prodigi finalizzati alla salvaguardia della Chiesa di Roma e dell’Eucaristia, che s’inquadrano in un contesto ecclesiastico di degrado e condizionato dal pensiero riformato diffuso in Italia grazie all’azione dei monaci di Montecassino; i miracoli compiuti dopo la morte, invece, sono da intendere come l’appagamento di bisogni individuali e collettivi. Donne, infermi e chierici ricevono da Santo Stefano Minicillo la guarigione dai mali più diffusi e sentiti dalla popolazione, la quale si chiude intorno al culto del Santo, culto che si espande anche ai luoghi circostanti Caiazzo. La prova materiale di quanto radicato e diffuso è la devozione nei suoi confronti è data dagli affreschi presenti nella chiesa di Santa Maria a Marciano in Piana di Monte Verna (1334). Sono tre le date principali legate al culto del Vescovo Stefano: 23 maggio (ritrovamento del corpo ad opera del Vescovo Vincio Maffa nel 1512); terza domenica di novembre (attribuzione del Patrocinio della città di Caiazzo); 29 ottobre (giorno della nascita al Cielo).
Mons. Alfonso Caso – Il momento in rifulge la figura di Stefano Minicillo, Vescovo Santo, fu uno di quelli in cui la dimensione umana, in ispecie per quanto riguarda Papato ed Episcopato, prevaleva, poiché la Chiesa era espressione di potere umano. Si pensi alla figura del “vescovo-conte“, frutto di una certa intelligenza politica della Chiesa, che garantiva al vescovo di turno il potere sulla città e sui territori annessi. Morto il vescovo, i possedimenti tornavano nelle mani dell’imperatore, il quale trasferiva il potere ad altri, assicurandosi un’ingerenza anche nelle questioni ecclesiastiche, come dimostrano tre fenomeni allora particolarmente diffusi: l’elezione del Papa per mano delle famiglie nobili di Roma; la “Simonia“, ossia la compravendita delle cariche ecclesiastiche; il “Nicolaismo“, concubinato del clero. In questo contesto di “intorbidamento” della Chiesa, in cui cominciarono ad affiorare segni di rinnovamento, ispirato dalla volontà di richiamare gli ecclesiastici a comportamenti più consoni alla dimensione spirituale, si erge la figura di Santo Stefano Minicillo: è il contesto della Riforma voluta da Papa Gregorio VII (monaco di Cluny). Santo Stefano diventa Vescovo al di fuori degli schemi del tempo, eletto dal basso, dalla volontà del popolo di Dio. E così anche la sua Santità si esplica dal basso, attraverso un’attività pastorale nel e per il popolo, al fianco dei poveri e degli ultimi. La sua fama di “uomo di Dio” si diffonde ben presto anche oltre il territorio caiatino: Santo prima dalla vox populi e solo dopo in virtù di riconoscimento formale: da sottolineare che fu con Giovanni XV che la Chiesa iniziò a darsi delle regole “formali” per il riconoscimento della Santità. Stefano Minicillo fu Santo del Regno di Dio e per il Regno di Dio, espressione della Santità quale dono affidato alla Chiesa che egli non solo custodì gelosamente, ma che tramutò in impegno concreto e vissuto. Fu un astro nel firmamento della Storia, come provano i miracoli che si narra siano avvenuti per mezzo di lui e che sono segno che Dio si fa presente nella storia di quegli uomini che hanno il coraggio di testimoniarlo, nonostante tutto.