Noemi Riccitelli – Dopo il debutto su Netflix nel 2021, Lupin, la serie di produzione francese creata da George Kay in collaborazione con François Uzan, diretta da Ludovic Bernard, Podz (Daniel Grou) e Xavier Gens, ispirata alle avventure di Arsenio Lupin, il famoso ladro gentiluomo creato dallo scrittore d’oltralpe Maurice Leblanc, ha acquisito sempre più successo e interesse da parte del pubblico della piattaforma, tanto da essere rinnovata per una seconda stagione e, ora, una terza disponibile dal 5 ottobre.
Una versione moderna del personaggio, con il protagonista, Assane Diop, interpretato da Omar Sy che si ispira a sua volta alle “gesta” del ladro nato dalla penna di Leblanc, di cui leggeva avidamente da bambino.
Nei nuovi 7 episodi di questa terza parte, dopo le peripezie precedenti, (qui la recensione della prima e seconda parte), Assane è costretto alla clandestinità.
A seguito del coup de theatre durante la serata di beneficenza organizzata da Pellegrini (Hervè Pierre), l’identità di Assane Diop (Omar Sy) diviene nota a tutti e il ladro fa perdere abilmente le sue tracce.
Tuttavia, dopo un anno, l’opinione pubblica ancora si interroga sulla sua fuga, tra detrattori e sostenitori del suo operato, oltre alla polizia sempre sulle sue tracce.
Claire (Ludivine Sagnier) e suo figlio Raul (Etan Simon) si trovano al centro del mirino, presi di mira dalla stampa, che li ritiene in un qualche modo complici, Assane cerca di proteggerli ma trova in loro sentimenti contrastanti.
Alla fine, decide di escogitare un piano brillante, quello finale, definitivo, ma qualcuno gioca un brutto tiro a lui stesso, facendo entrare in gioco una figura delicata.
Ritorna Lupin e con lui anche lo smagliante Omar Sy, sempre a suo agio e carismatico nel ruolo di Assane Diop, l’insospettabile ladro che il pubblico ha imparato a conoscere ed amare, forse proprio per il suo fascino, i suoi modi gentili e quell’ispirazione letteraria che fa apparire ogni sua azione come la conseguenza di un sublime ordine superiore più che un atto illecito.
La terza parte di Lupin si mostra sorprendente, recuperando sul finale un incipit che per alcuni moduli e situazioni ha ricordato un po’ un altro prodotto Netflix di successo, La casa di carta.
Tuttavia, la serie francese conserva una sua identità ancorando la sceneggiatura non solo ai più classici moduli del giallo poliziesco e dell’heist movie, ma soprattutto all’unicità della storia del protagonista, Assane.
I sette episodi, infatti, attraverso dei flashback, snocciolano a poco a poco il suo passato, svelando le ragioni delle sue scelte future, portando così ad un disvelamento finale sorprendente.
I colpi di scena e le trovate geniali dell’ultimo minuto rappresentano il cuore di questa terza parte che, come le precedenti, tiene alta l’attenzione dello spettatore con un intreccio di trama che si fa sempre più fitto, ma non per questo meno chiaro.
La forza della serie, del resto, è certamente la piena comprensione e semplicità della narrazione che la rende a portata di tutti, insieme a personaggi dalle connotazioni umili, ma con caratteristiche particolari che li rendono unici e, per questo, plausibili solo all’interno di una fiction.
Intrattenimento ed evasione dalla quotidianità: Lupin si conferma anche con quest’ultima parte un buon prodotto e racconto di fantasia, che tuttavia si ancora alla rappresentazione di un contesto sociale realistico, quale quello della capitale parigina, con tutte le sue difformità e peculiarità.
Una traiettoria narrativa, questa, che Netflix ha intrapreso anche con altre serie di sua produzione, nella volontà di portare sullo schermo storie che non siano solo un buon storytelling, ma anche reale lente di ingrandimento sui più peculiari assetti culturali delle produzioni nazionali di riferimento.