Daniele Rocchi – Al terzo giorno di guerra non si ferma il lancio di razzi da Gaza dove nella notte Israele ha ripetutamente bombardato e colpito circa 800 obiettivi di Hamas e delle altre fazioni nella Striscia. L’esercito fino ad ora ha condotto 1.149 attacchi aerei sull’enclave palestinese, nella giornata di ieri erano stati 800. Sarebbero sette, o forse otto, i villaggi nel sud di Israele in cui i militari israeliani combattono contro i miliziani armati di Gaza, entrati anche la notte scorsa. Fonti militari dell’esercito hanno affermato che entro oggi sarà ripreso il controllo totale delle località. Con il passare delle ore si chiarisce il numero delle vittime e dei feriti: quelle israeliane sono più di 700, compresi i 260 del massacro al rave party al confine, mentre i feriti superano i 2000. Un bilancio destinato a crescere come ha detto in un briefing notturno un portavoce
dell’esercito israeliano. Mai così tante nella storia di Israele. A queste cifre si aggiunge quella degli ostaggi in mano ad Hamas e alla Jihad islamica, 130, tra militari e civili. Dal versante palestinese i morti a Gaza per gli attacchi aerei sono 436. A questi vanno aggiunti i miliziani armati delle fazioni, circa 400 uccisi dall’esercito in Israele secondo i dati diffusi dal portavoce militare. I feriti a Gaza – secondo il ministero della sanità locale – sono circa 2.270. Della guerra in corso ne abbiamo parlato con Matteo Bressan, analista e componente del Comitato scientifico del Nato Defense College Foundation e docente di studi strategici presso la Lumsa-Master school.
L’attacco di Hamas del 7 ottobre potrebbe essere l’11 Settembre israeliano?
Possiamo chiamarlo anche l’11 Settembre di Israele ma ciò che balza agli occhi, in questo caso, è il salto di qualità che supera l’azione terroristica. Qui parliamo di attacchi coordinati su 20 località in territorio israeliano con migliaia di razzi lanciati da Gaza che hanno provocato ad oggi centinaia di vittime israeliane, tra civili e militari. Numeri da operazioni militari e non da attacchi terroristici.
Con questo attacco cade anche il mito della sicurezza di Israele. Da quanto sta emergendo sembra chiaro che ci siano state delle falle incomprensibili. Come si può spiegare?
Ad oggi non abbiamo commenti ufficiali da parte delle forze israeliane. È evidente che un confine così controllato in termini di videocamere, pattuglie e droni sia stato esposto a molteplici attacchi. In ogni caso andrei molto cauto nel dare valutazioni, anche perché siamo solo a poco più di due giorni dall’attacco e prima di accertare eventuali responsabilità c’è da gestire l’emergenza. Ulteriori vittime tra i civili e i militari israeliani, associate a quelle che si sono già registrate, rappresenterebbero un danno enorme all’immagine della sicurezza dello Stato ebraico. L’uso di foto e video della gente sequestrata, dei carri armati in fiamme fa parte della comunicazione strategica volta a colpire e indebolire la volontà di combattere dell’avversario. Vero che Israele si sta compattando ma sono immagini destabilizzanti.
Chi o cosa potrebbe stare dietro questo salto di qualità di cui parlava prima? Hamas da solo avrebbe potuto compiere una simile azione di guerra?
Per tutta una serie di dinamiche storiche consolidate è lecito pensare a un coinvolgimento indiretto del cosiddetto autoproclamato ‘Asse della Resistenza’, composto da Iran ed Hezbollah libanesi. Una partecipazione in termini di forniture e training. Non abbiamo prove che confermino questo coinvolgimento con certezza ma abbiamo le dichiarazioni di pieno sostegno di Iran e Hezbollah ad Hamas e all’attacco di sabato.
‘Casus belli’ adesso sembra essere quello degli ostaggi, molti sono civili e soldati israeliani, ma ce ne sono anche di nazionalità straniera. Come pensa potrebbe gestire Israele questo aspetto del conflitto? A riguardo sappiamo che Israele ha chiesto la mediazione dell’Egitto.
È prematuro, in questa fase, pensare ad un negoziato che possa portare alla liberazione di questi ostaggi. Diverse le opzioni sul tavolo mentre i bombardamenti su Gaza si sono intensificati. Tuttavia quando uno strumento militare prospetta ai vertici politici possibili azioni, tra le questioni poste sul tavolo presumo ci sarà anche quella degli ostaggi. Ma come detto dalle autorità israeliane bisogna prima fermare gli attacchi sul terreno israeliano e impedire ad Hamas di continuare a lanciare razzi. È in questo contesto che si colloca ‘la partita’ degli ostaggi, mai stati così tanti, che va giocata sul piano negoziale e diplomatico con i diversi interlocutori che si propongono come l’Egitto, la Turchia, i Paesi del Golfo.
Fonte SIR