Daniele Rocchi – In una Gaza cinta d’assedio, senza luce, acqua, cibo e carburante, proseguono i bombardamenti israeliani. Centinaia le infrastrutture militari di Hamas colpite dai jet con la Stella di David, mentre ai confini dell’enclave palestinese si ammassano truppe e mezzi pronti a dare vita all’invasione di terra. Israele ha richiamato 300 mila riservisti. È dal 2014 che l’Esercito israeliano non entra nella Striscia – 365kmq. abitata da 2,3 milioni di persone – la cui popolazione è fiaccata dal 2007 da un embargo israeliano e dal duro regime di Hamas. A guardare i numeri e le forze in campo sembrerebbe uno scontro dall’esito segnato, ma non mancano le incognite. L’esercito di Israele vanta un grande vantaggio numerico, una tecnologia militare altamente sviluppata associata a provate capacità logistiche.
Hamas, dalla sua, ha una elevata capacità di muoversi e combattere in un ambiente urbano densamente popolato come è la Striscia, e di organizzare al meglio la propria difesa grazie a missili e mine anticarro, mortai e mitragliatrici in dotazione. Senza dimenticare la fitta rete di tunnel che attraversa la Striscia e che consente ai terroristi di Hamas di muoversi liberamente al suo interno. Inoltre le campagne militari israeliane di questi ultimi anni (2008, 2012, 2014 e 2021) hanno permesso ai leader del movimento islamico di studiare a fondo il nemico e le sue tattiche. Entrare a Gaza sarà un massacro per i due contendenti, e a farne le spese saranno anche la popolazione civile e i circa 200 ostaggi, israeliani e non, nelle mani di Hamas. Di questa offensiva ne abbiamo parlato con Claudio Bertolotti, esperto dell’Ispi e direttore di Start InSight, Strategic Analysts and Research Team, (http://www.startinsight.eu).
Si parla sempre più con insistenza di un’invasione terrestre di Gaza da parte di Israele. Quali sono le opzioni sul campo?
Tecnicamente si deve parlare di ‘operazione offensiva’ che può essere caratterizzata da dinamiche ed esiti diversi. Da un lato potremmo assistere ad un’operazione con unità militari ridotte, sostenute dal fuoco terrestre, come carri armati, artiglieria, forze aeree e droni. Parliamo di un’azione ‘puntiforme’ volta a colpire e sanzionare target predesignati di Hamas. È un’operazione che non prevede una permanenza di lungo periodo all’interno della Striscia di Gaza. A mio parere si tratta di un’ipotesi possibile ma poco probabile.
Più praticabile l’uso massiccio di truppe?
L’impiego di una grande massa di militari per distruggere e contrastare l’operazione contro-insurrezionale di Hamas, condotta su diverse linee difensive quando Israele invaderà Gaza, rappresenta un’ipotesi più probabile. Va anche detto che Hamas in questi anni si è riorganizzato dal punto di vista delle strutture di difesa. Basti pensare alla fitta rete di tunnel consolidati, ben studiati a livello ingegneristico e capaci di garantire comunicazioni e spostamenti veloci al loro interno. Questo sarà molto pericoloso e per Israele comporterà l’uso della fanteria più adatta, rispetto ai mezzi corazzati, a contrastare Hamas. Il problema potrebbe essere la permanenza sul lungo periodo che provocherà una reazione superiore a quella di un’operazione di breve respiro, con il rischio di un aumento di perdite da parte israeliana, di Hamas, dei suoi alleati della Jihad islamica e della popolazione civile.
C’è uno scenario militare assolutamente da evitare per Israele?
Quello che prevede l’ampio uso di forze di manovra, quindi carri armati, non solo a supporto ma anche in prossimità, se non addirittura all’interno delle aree urbane. È l’ultimo degli scenari auspicabili per un pianificatore militare perché i mezzi corazzati in aree urbane potrebbero essere scarsamente efficaci e più vulnerabili avendo una stazza notevole e capacità di manovra molto limitata.
Quanto tempo può richiedere pianificare un’operazione militare del genere?
Molto tempo. Come dicevo poco fa, in fase di pianificazione operativa, si cerca di evitare il combattimento nei centri abitati, perché richiede tempo, perché prevede un alto tributo di vite umane e perché comprende il rischio di perdere e di sottoutilizzare veicoli corazzati ad alta tecnologia ed elevato costo.
Israele ha richiamato 300mila riservisti: a quali compiti potranno essere destinati in questa guerra?
L’esercito israeliano è formato da una componente professionale ed una di leva. Si tratta di una milizia di popolo. I professionisti sono impiegati in prima linea con compiti ad alta specializzazione. Il combattimento nei centri abitati, come nel caso di Gaza, è una competenza di reparti professionali con un addestramento di medio alto livello. Non parliamo solo di reparti speciali o di èlite. Si tratta di soldati che, in team di 6/8 persone, ‘bonificano’ un edificio. I militari di leva sono impiegati per garantire la cornice di sicurezza di basi e accampamenti militari e per dare supporto al combattimento, quindi l’artiglieria, i mortai, la logistica, le comunicazioni. È verosimile che nelle prime fasi dell’invasione verranno utilizzati reparti professionali.
Come potrebbe reagire la popolazione civile di Gaza davanti all’invasione israeliana?
I gazawi che se ne andranno via dalla Striscia, potendolo fare, hanno già deciso di non essere coinvolti in un conflitto ad alto rischio. Chi resterà sarà o per scelta o per necessità. Queste persone potrebbero garantire un appoggio morale e materiale ai combattenti di Hamas che non sono tantissimi, forse 25mila.
La decisione israeliana di cingere di assedio Gaza, tagliando del tutto luce, acqua, cibo e carburante, è più emotiva o razionale? E in che modo prepara l’invasione militare?
Credo si tratti di una scelta razionale. Israele vuole agire senza usare il guanto di velluto e in modo deciso e esplicitamente violento. Con due effetti: limitare l’accesso ai beni primari dei combattenti e nel contempo allontanare la popolazione civile da Hamas. Un’ambizione troppo ottimistica considerando che i combattenti di Hamas sono molto organizzati e in grado di sostenere un conflitto di lunga durata. A ciò si aggiunga che sono miliziani votati alla morte e consapevoli del rischio di una sconfitta militare. Una sconfitta sul campo di battaglia, però, che nel lungo periodo potrebbe essere letta come una vittoria. I nuovi martiri caduti combattendo potrebbero spingere altri ad emularli.
Quanto rischiano gli ostaggi in mano ad Hamas? Le immagini che circolano nei media sono cruente…
Il mio timore non è legato tanto ad Hamas per come lo abbiamo conosciuto fino a qualche anno fa quanto per il rischio effettivo di contaminazione che il fenomeno Isis, Stato Islamico, è riuscito a diffondere all’interno della galassia jihadista. Il ruolo giocato dai media, sui cui Hamas ha fatto leva in questo attacco – nel quale sono stati barbaramente uccisi uomini, donne, vecchi e bambini, prevalentemente civili – è stato quello di incutere terrore. Le immagini che circolano nei media sono molto cruente e questo è l’effetto del fenomeno post Stato Islamico. Quest’ultimo, crollato territorialmente, di fatto ha radicato le sue spore dentro i nuovi movimenti jihadisti nei quali militano nuove generazioni.
Fonte SIR