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La Banca Popolare Cooperativa del Matese di Piedimonte d’Alife, quello “sguardo di vasta portata”

Breve storia della Banca Popolare Cooperativa del Matese di Piedimonte d’Alife confluita negli anni Sessanta nella Banca di Credito Popolare di Torre del Greco

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Il prof. Armando Pepe torna ad implementare la nostra rubrica Matese tra moderno e contemporaneo con uno scritto fluente, immediato, di forte impatto mediatico: il messaggio affidato all’articolo evidenzia fin dalle prime battute il clima vivace, lo stile audace, l’investimento di cui furono promotori intelligenze locali. La Banca Popolare Cooperativa del Matese nasceva nell’autunno del 1884 (fra pochi giorni ne ricorre l’anniversario); essa si generava quale naturale processo economico fiorente dalle attività industriali (leggi l’articolo sul Cotonificio) ed agricole innestate nel Matese e nella valle del Medio Volturno. Ancora una volta, trai protagonisti del fervore socio-culturale locale vi fu Antonio Gaetani di Laurenzana.

Suggestiva veduta di Piazza Roma

di Armando Pepe

L’esigenza di una Cassa di Risparmio
Il 19 ottobre 1884 fu costituita nell’allora Piedimonte d’Alife la Banca Popolare Cooperativa del Matese. Nasceva per volontà della Società «Operaja» di Piedimonte d’Alife, che portava avanti le istanze sociali di una classe lavoratrice ampia e diversificata. Lo Statuto della Banca, edito dalla tipografia di Silvio Bastone (si cita dall’edizione del 1891), all’articolo 2 riportava che essa aveva «lo scopo di procacciare il credito ai propri soci col mezzo della mutualità e del risparmio». L’articolo 3 precisava che la Società Anonima Cooperativa (tale era la ragione sociale dell’istituto creditizio) «avrà la durata di anni 50 dalla data del presente Statuto, con facoltà di prorogarsi». Durò di più e per tanti decenni, in effetti, perché sorretta da una buona ed efficiente amministrazione.

La determinazione di Antonio Gaetani di Laurenzana
Nell’industriosa Piedimonte del tempo, quale punto di riferimento essenziale, per gli artigiani e la classe operaia, si poneva Antonio Gaetani di Laurenzana, allievo putativo di personaggi del calibro di Aurelio Saffi e di Giuseppe Mazzini, radicale e repubblicano, deputato al Parlamento italiano. L’onorevole Gaetani si spendeva senza risparmio per la Società Operaja di mutuo soccorso-, «ricostituita il 26 agosto 1877 e distinta dai motti Moralità, Lavoro, Risparmio, Amore» (articolo 22 dello Statuto) -, rimettendoci in termini di energia, di impegno e di capitali personali. All’atto della fondazione della Banca, la Società Operaja contava 215 soci.

Gli scopi della Banca per la crescita sociale del Matese
La Banca concedeva prestiti sull’onore, faceva operazioni di credito agrario, dava sovvenzioni contro pegno, e «per agevolare il compito degli agricoltori e industriali e per l’introduzione di macchinari nella economia di produzione in genere, (la detta Società Anonima Cooperativa) potrà acquistare materie prime, sementi e macchine da cedere ai soci mediante pagamenti dilazionati» (articolo 43 dello Statuto). Favoriva la piccola industria e l’agricoltura, comprendendone l’importanza strategica, implementandone la sinergia con le altre realtà nazionali. Pensava alla lunga durata, con uno sguardo di vasta portata. Parallelamente, l’istituto creditizio piedimontese prestava, a favore degli enti comunali e consortili limitrofi, il servizio di esazione e di cassa, (articoli 53, 54 e 55 dello Statuto).

La traversata nei decenni del Novecento
La Banca piedimontese attraversò indenne l’età liberale e percorse un lungo viaggio attraverso il fascismo, sia pure con qualche dissapore all’interno della propria dirigenza. Ad ottobre del 1931 il Consiglio d’Amministrazione era composto dal presidente, l’avvocato Alessandro Scorciarini Coppola (presidente), e dagli amministratori Giovanni dott. Caso, Mariano Costantini (podestà di San Gregorio d’Alife), Antonio Brisotti, il canonico Don Luigi Vastano, l’avvocato Salvatore Rossi, Crescenzo Penza, Lorenzo Marrocco e Girolamo Fidanza. Nel collegio dei sindaci sedevano: l’avvocato Achille Falivene, il professore Saulle Marzano, il dottor Antonio D’Amore, l’avvocato Carlo Grillo ed Ernesto Gonzales.

Il presidente benemerito della Società operaia, cavalier Marcellino Rossi, il 20 aprile 1942, scrivendo all’Ispettorato per la difesa del Risparmio e l’Esercizio del credito, che aveva sede a Roma in Via Panisperna, al civico 30, propugnava la nomina a sindaco della Banca dell’avvocato Alfredo Ricigliano. Secondo il parere della dirigenza bancaria piedimontese, il cavaliere Marcellino Rossi, «qualificandosi presidente benemerito (della Società Operaia di mutuo soccorso), si è arrogato il diritto di rappresentare, anzi di personificare la Società stessa, la quale in realtà non è più che un ricordo storico…Il signor Marcellino Rossi non può quindi pretendere di riassumere nella sua persona i poteri dell’assemblea, perché la sua vantata qualità di presidente benemerito non rappresenta che una carica puramente onorifica, neppure prevista dallo Statuto, ed alla quale non è congiunto nessun effettivo potere.

La Società operaia-, e di unita il presidente Marcellino Rossi-, fu praticamente estromessa dalla gestione bancaria, poiché «da anni, forse da decenni, essa più non ha, né potrebbe avere nel mutato clima politico e di fronte alle attuali istituzioni fasciste di assistenza e di previdenza, una vera ed effettiva funzione ed una qualsiasi attività per cui più non funzionano né esistono gli organi previsti dall’articolo 37 dello Statuto (cioè l’Assemblea, il Consiglio Direttivo e il Comitato dei Sindaci).

Il direttore della Banca affermava perentoriamente che «la nostra resistenza di fronte alle pretese del signor Marcellino Rossi, il quale avrebbe dovuto astenersi dal provocare questo incidente, almeno fino a quando riterrà di avere un conflitto d’interessi con questo Istituto, di cui abbiamo difeso gli interessi, il prestigio e la serenità che lo circonda».

Il secondo dopoguerra e la fusione con la Banca di Credito Popolare di Torre del Greco
Caduto il fascismo, nel Secondo dopoguerra, conclusasi definitivamente l’esperienza della Società operaia, la Banca si autonomizzò, venendo gestita da una dirigenza che nel suo seno presentava tratti sia di continuità sia di discontinuità. Al 31 dicembre 1954 presiedeva il Consiglio d’amministrazione il dottor Giovan Giuseppe D’Amore, mentre semplici consiglieri erano: i professori Dante Marrocco e Salvatore Laurenza, poi Nicola Capasso, Nicola Vastano, l’avvocato Mario Della Villa, Alberto Grillo e Mariano Costantini (l’ex podestà di San Gregorio d’Alife) e Giovanni D’Andrea. Presidente del Collegio sindacale era il professor Michele Cinotti, invece sindaci effettivi risultavano: Giovan Giuseppe Renzo, il dottor Fernando Tedesco, il ragioniere Armando Carbone e il professor Oreste Boggia. La generosità nel concedere prestiti indebolì finanziariamente le basi dell’istituto creditizio piedimontese, per cui la Banca d’Italia, dolcemente, ne favorì la fusione, verso la fine degli anni Sessanta, con la Banca di Credito Popolare di Torre del Greco, ben più solida, come si rileva da una lettera del 27 dicembre 1968.

Fonti e bibliografia:
Archivio Storico della Banca d’Italia (ASBIT), Roma, Sottofondo Vigilanza (1926-1961), « 442 Ba5, Banca Popolare Cooperativa del Matese di Piedimonte d’Alife».
Armando Pepe, Antonio Gaetani di Laurenzana nella vita del suo tempo (1854-1898), Tricase, Youcanprint, 2017.

 

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