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Tre storie al femminile. I contatti epistolari del conte Antonio Filangieri di Candida

Per la rubrica "Matese tra moderno e contemporaneo" nuovi aneddoti sul Conte Antonio Filangieri che nome e vicende legano al nostro Matese

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Torniamo a raccontare del Conte Antonio Filangieri di Candida, l’uomo di arte e di cultura, di viaggi e di contatti, di autorevoli confronti con esponenti intellettuali del suo tempo. Questa volta, la proposta della nostra autrice, Flaminia Candida Gonzaga, ci riserva una dimensione più riservata dell’uomo: uno scambio epistolare con tre figure femminili da cui emerge la fiducia, la familiarità, la serena parità confidenziale con cui avviene lo scambio: testimonianza ulteriore di un uomo di larghe visioni, facile e felice al confronto intellettuale che apre e non divide, genera incontro e non “classi”. 

di Flaminia Candida Gonzaga

Gli scambi epistolari del conte Antonio Filangieri di Candida sono molteplici e per la maggior parte riflettono una consuetudine di rapporti intrattenuti nel tempo. Ed è per questo facile ricostruirne il percorso e la storia. Vi partecipano studiosi di arte italiani e stranieri, intellettuali e artisti, amici con i suoi stessi interessi, interlocutori ufficiali dei suoi incarichi.

Ma a differenza di queste corrispondenze che si sono protratte nel tempo e di cui si può ricostruire l’intreccio, nell’archivio si trovano alcune lettere che restano senza seguito, a parte la sola e presunta risposta che avranno sicuramente avuto. Sono lettere che scoprono un mondo al femminile, in cui confessioni e piccoli segreti si svelano con delicata sobrietà e leggerezza. I fogli su cui sono scritte si presentano diversamente: c’è il grigio marmorizzato del foglietto piegato a metà, il color crema con l’intestazione a rilievo ed in blu, ed anche il foglio incorniciato pesantemente a lutto per qualche triste evento occorso in famiglia ma di cui non si viene a sapere alcunché.

 Evelyn Julie O’Bryant MacKay 
È un vendredi soir l’unica indicazione di tempo con cui inizia la lettera scritta in francese che gli manda E. de Galatro Colonna, che si firma con la sola iniziale del nome. È Evelyn Julie O’Bryant MacKay, la bella americana che anni prima a Parigi aveva conosciuto il principe Ferdinando Colonna a cui aveva portato sposandolo la ricca dote assicurata dal padre adottivo, John MacKay, che aveva fatto la sua fortuna con le miniere d’argento nel Nevada.

È una lettera di ringraziamento piena di soffusa cortesia che la porta a ripetere e a sottolineare che è lei a ringraziare Antonio Filangieri, infiniment, vraiment infinement! per averle fornito l’écusson, lo stemma che intende conservare come un souvenir anche dopo che le professeur Corcos avrà terminato il suo ritratto. Perché lei, la principessa Evelyn Colonna di Galatro si sta facendo ritrarre da Vittorio Matteo Corcos, il pittore che fin dagli anni di Parigi si portava dietro la fama di peintre des jolies femmes. Gli scrive che si sarebbe sentita lusingata se lui, il conte Filangieri, si fosse degnato di venire con Giulia, la moglie Giulia Gaetani di Laurenzana, il lunedì successivo nel pomeriggio, per vedere il suo ritratto, che non esita a definire un capolavoro di pittura. Uno chef d’oeuvre de peinture perché la ringiovanisce un peu, e questo Evelyn lo sottolinea, perché nel ritratto non si vedono più toutes les rides, tutte le brutte rughe da cui è afflitta già da qualche tempo. Ma dato che l’ha fatto fare per il suo cher Andrea, il figlio primogenito ormai adolescente, probabilmente l’artista-maestro l’aveva voluta rendere per lui quanto più possibile giovane e somigliante. Ed aggiunge che al momento non aveva posato che una volta e che l’indomani sarebbe stata la seconda, e conclude garantendogli che l’effetto era prodigieux!

Il ritratto che non è più in una collezione privata, è oggi esposto a Genova nelle Gallerie Nazionali di Palazzo Spinola.  È un grande quadro a figura intera. Evelyn indossa un abito color avorio che ne fascia tutta la silhouette. Le braccia e il decolleté sono avvolte in un tulle impalpabile che volteggia e ripete in trasparenza le pieghe dello strascico della gonna lunga bordata di ermellino. Con un braccio scosta la tenda rosa che ha alle spalle e così lascia intravedere la sagoma di una colonna a tempera murale in finto marmo verde con fregi in oro. Il viso è radioso e bellissimo.

La data della sua realizzazione è certa ed è così possibile aggiungere l’anno 1902 all’indicazione molto vaga che reca invece la lettera. Mentre si spiega anche la perplessità sollevata da chi, nel descriverlo a distanza di tempo, ha fatto i conti con l’età della principessa che di anni ne doveva avere 41 al momento del ritratto e che invece non li dimostra affatto, tanto da fargli sospettare e scrivere che forse non si era trattato di un ritratto dal vero ma da una fotografia.

 Costanza Gradara 
Qualche elemento in più lo fornisce un’altra lettera, indirizzata al Filangieri con l’appellativo di “Egregio professore” da Roma una domenica sera. L’intestazione è quella della R. Soprintendenza alle Gallerie e ai Musei presso la R. Galleria d’Arte Antica, Palazzo Corsini, Lungara 10, Roma. La firma Costanza Gradara che si definisce una sua scolara. Doveva aver quindi seguito le sue lezioni che da libero docente teneva dal 1910 alla R. Università di Napoli sulla Storia dell’arte medievale e moderna. Gli si rivolge nella speranza di essere aiutata e consigliata nei suoi studi. Che riguardano tuttavia una questione molto precisa. Gli scrive infatti di aver avuto la fortuna di trovare, presso delle sue amiche, un manoscritto o meglio il Diario di Pietro Bracci, uno scultore romano del ‘700, allievo di Camillo Rusconi. Si era resa conto che era cosa di non lieve interesse per la storia della scultura romana, essendo lo scultore poco conosciuto ma avendo numerosissime opere non solo a Roma, ma anche altrove, molte delle quali erroneamente attribuite ad altri artisti.  Il Diario, fatto per anno, conteneva la descrizione delle opere, i nomi degli operai, le misure dei lavori, le spese, il tempo impiegato ed altro ancora. Costanza Gradara aveva pensato di pubblicarlo, ispirandosi al Diario di Annibale Caccavello, scultore napoletano del XVI secolo che Antonio Filangieri aveva mandato alle stampe nel 1896. Non aveva pensato di realizzare un vero e proprio libro ma solo un ampio articolo. Ma proprio nel tardo pomeriggio del giorno in cui scrive aveva trovato a casa di queste amiche un’infinità di altre cose inedite, lettere, diplomi, sonetti e stampe, disegni suoi e di altri artisti. Si era vista davanti una mole enorme di lavoro e temeva di non esserne capace benché non le mancasse la buona volontà.

C’era un fatto tuttavia che si aggiungeva. Le amiche l’avrebbero lasciata libera di ricopiare e pubblicare, ma avevano già fatto vedere tali carte ad uno studente tedesco, che però fino ad allora non aveva pubblicato nulla e non si era più fatto vedere da mesi. Pochi giorni prima invece un altro studente era venuto a conoscenza delle carte e costui non solo era a Roma ma aveva capito che si trattava di cose importanti. Aveva detto alle amiche che avrebbe condotto per vedere tale materiale il pittore X. Sicuramente in preda ad una certa ansia non riusciva a ricordarne il nome e ricalcava con forza i due tratti della X, ma confidava nel suo professore che aveva nel suo ufficio un libro che costui aveva pubblicato sulla tecnica dei colori. Era stato sicuramente facile per il Filangieri dargli un nome, trattandosi di Carlo Linzi, autore della Tecnica della pittura e dei colori (l’arte del dipingere ad olio).

Doveva quindi sbrigarsi e pubblicare subito prima d’altri, ma sentiva che da sola non ce l’avrebbe fatta. Aveva già iniziato a ricopiare il Diario che le sembrava la cosa più importante, ma aveva qualche difficoltà con le abbreviazioni. Avrebbe voluto rivolgersi a qualcuno a Roma, ma a parte la poca confidenza nell’aiuto altrui, era certa che sarebbe riuscita nella stessa conclusione di lavorare per gli altri. Quanto avrebbe desiderato che il Filangieri fosse a Roma e che potesse vedere ogni cosa e guidarmi, gli scrive, chiedendogli almeno di consigliarla su ciò che doveva fare al più presto.

Oltre questa lettera non c’è nient’altro in archivio, nessuna altra missiva da parte di Costanza Gradara. Ma c’è una conclusione. Esiste, pubblicato nel 1920 dall’editore Alfieri & Lacroix il libro Pietro Bracci, scultore romano 1700-1773 (pp. 124 e 37 tavole in b/n) e l’autrice è proprio lei, Costanza Gradara.

 Elena Romano 
Infine con l’intera data ben indicata, l’11 agosto 1914, il conte Antonio Filangieri riceve una lettera dell’alunna Elena Romano da Accettura, Potenza che scrive al Chiarissimo Professore, profitto della sua cortesia per rinnovarle la preghiera che già ebbi a rivolgerle a Napoli. Le sarei molto grata se volesse inviarmi qualche utile libro da leggere. La pigrizia non mi ha presa tutta, come Ella sospettava, mi resta ancora un po’ di voglia di lavorare anche qui tra il verde della mia piccola terra meridionale. E mi dica qualche cosa intorno alla mia tesi, La prego caldamente, nella solitudine e nella calma profonda è l’unico pensiero che mi tormenta; un poco però. Ella una volta al Museo, mi fece come una breve istoria della diversa rappresentazione della donna nei diversi secoli; rappresentazione che rispecchia, mi diceva, l’ideale e il concetto che si ha della donna e in un certo modo i costumi del tempo. Me ne è rimasta una idea molto vaga, tanto che non so se sono riuscita a spiegarmi. Crede che si potrebbe tentare un lavoro su questo tema? Voglia ella dare un po’ di luce a questi miei pensieri appena e male abbozzati e consigliarmi se è il caso di pensarci.

Peccato questa volta non avere le indicazioni che il Professore le avrà sicuramente fornito per la sua tesi di laurea, che senza dubbio avrà portato a termine per poi presentarla alla R. Università di Napoli.   

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