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Festa di tutti i Santi. Commento al Vangelo: “Beati i poveri in spirito”

Commento al Vangelo del 1° novembre, Solennità di Tutti i Santi

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di Padre Fabrizio Cristarella Orestano
Comunità Monastica di Ruviano (Clicca)

Tutti i Santi
Ap 7, 2-4.9-14; Sal 23; 1Gv 3,1-3; Mt 5, 1-12

“La gloria dei Santi”. Icona contemporanea.

La solennità di oggi dilata la nostra speranza perché oggi è festa di grazia! I santi non sono gli eroi che sono riusciti in un’impresa impossibile ai più! Non sono le rare eccezioni di uomini particolarmente bravi e dotati… i santi non sono come i geni dell’umanità; infatti, se è vero che un Michelangelo o un Mozart non nascono tutti i giorni è invece vero che i “santi” nascono tutti i giorni! E questo perché essi sono il frutto dell’infinita grazia misericordiosa di Dio nostro Padre che, in Gesù Cristo suo Figlio, ci ha fatti creature nuove, ci ha generati a figli, come scrive Giovanni nel testo bellissimo che oggi è la seconda lettura, ed inviandoci lo Spirito ci custodisce in questa figliolanza.

I santi nascono tutti i giorni e vivono in tutti i luoghi ed in ogni stato di vita… è un grande inganno pensare che la santità sia un territorio che possono conquistare in pochi; è un inganno perché la santità non è terreno di conquista ma luogo donato, è un inganno perché Gesù ha detto che nella casa del Padre suo «ci sono molte dimore» (Gv 14,2); la visione dell’Apocalisse che oggi abbiamo letto ci parla, inoltre, di una moltitudine immensa… È un inganno perché così la salvezza operata dalla Pasqua di Gesù avrebbe limiti èlitari… La santità è più estesa di quanto lontanamente possiamo immaginare.

I santi sono quelli che accolgono Cristo ed il suo Evangelo e ne fanno la strada su cui camminare in sua compagnia: certo saranno uomini e donne controcorrente, come la pagina delle Beatitudini di Matteo ci dice; uomini e donne che sono il contrario di quanto il mondo pensa che sia la beatitudine. Per il mondo è beato chi fa delle cose, degli altri, di se stesso un “vaso” da cui attingere fino alla sazietà anche a discapito di tutto e di tutti; per il mondo è beato chi profitta del potere che ha (piccolo o grande che sia) per crearsi le sue sicurezze; è beato chi “si fa da sè”, come blaterano tanti ricchi o divenuti tali … per il mondo è beato chi “non ha bisogno di nessuno”… L’Evangelo di oggi ci dice che c’è un mondo capovolto, rispetto a queste logiche, e questo mondo è il Regno di Dio…

Le Beatitudini funzionano con una grande “inclusione”: la prima beatitudine, quella dei poveri, si conclude con un presente: … «perché di essi è il Regno dei cieli»… e l’ottava, quella dei perseguitati, si conclude allo stesso modo. L’inclusione, con il suo tempo presente (le altre beatitudini usano il futuro), ci dice chi sono quelli che possiedono già questo Regno. I futuri delle altre sei beatitudini: la consolazione, l’eredità della terra, la sazietà, la misericordia, la visione di Dio, l’essere figli di Dio, sono solo specificazioni di questa motivazione principale, come scrive Alberto Mello nel suo commento all’Evangelo di Matteo. Insomma, si è beati solo perché si è nel Regno, perché da esso si è posseduti, perché, cioè, si è dato un primato a Dio che regna davvero nella vita.

I santi sono questi uomini e donne che hanno dato accesso al Regno nelle loro esistenze e che, per il regnare di Dio in loro, a Dio si sono abbandonati. Il primato di Dio è, in primo luogo, un primato della sua azione: è Lui, cioè, che fa nostra santità, è Lui che ha le sole mani che sanno e possono plasmare ogni santo … Chi vuole essere santo o si mette a mani vuote nelle mani del “vasaio” e si fa da Lui plasmare o non potrà mai essere “altro”, cioè “santo” … Il mondo infatti, se si rimane fuori da quelle mani, plasma l’uomo a modo suo, ne fa un suo servo, idolatra e perduto. È chiaro che per consegnarsi a quelle mani è necessario avere il primo “volto” che le Beatitudini ci presentano: la povertà! Solo un povero può abbandonarsi, perché solo un povero non ha nulla di proprio in cui mettere fiducia!

Si badi che la dizione di Matteo, “poveri nello spirito” (che si è trovata anche a Qumran come anawè ruach) non è assolutamente una diminutio, un addolcimento! È il contrario! Il povero nello spirito è colui il quale è davvero povero; povertà qui non è solo una dimensione sociologica ma è dimensione interiore, spirituale, profonda. L’espressione di Matteo non è affatto restrittiva. L’evangelista sa che non basta la povertà economica, ma con quella (che comunque mette al riparo da ogni idolatria e da ogni fiducia riposta nell’avere!) sono necessarie umiltà, mitezza, sguardo puntato su Dio più che su di noi!

La santità è via possibile a tutti! Solo certe mistificazioni operate dalla mediocrità cristiana ed ecclesiastica hanno potuto pensare a vie di santità e a vie di cristiani comuni; quante volte abbiamo sentito parole “sagge” (!), piene di “buon senso” che, per distogliere da vie di radicalità evangelica, ripetono: “si può essere buoni cristiani anche solo ….” E così si sono spalancate strade larghe di mediocrità, di accomodamenti, di “mezze misure”! I santi non sono uomini di “mezze misure”, e perciò sono uomini e donne di gioia! Ma di gioia profonda e duratura! Tanto che quella gioia, gustata nella storia, è diventata la loro eternità!
Oggi li contempliamo per essere trascinati, anche dalla loro preghiera e dalla loro fraternità, verso quella stessa gioia!

 

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