Giovanni M. Capetta – Talvolta pare vi sia contrasto fra i colori, che con sapienza secolare, si alternano nel calendario liturgico e la tinta “monocroma” con cui, fuori di chiesa, scorrono i giorni anche di chi è praticante. È solo una suggestione visiva, ma, partendo da essa, nasce la proposta di approfondire le connessioni che, pure, ancora, felicemente intercorrono fra il tempo della Chiesa e il tempo delle famiglie cristiane, fra il ritmo e il clima delle feste celebrate nello spazio sacro e la vita quotidiana nelle nostre case. Conforta tale intento la coincidenza che questo itinerario si collochi a pochi giorni dalla celebrazione di Tutti i Santi, che possiamo considerare davvero una festa di famiglia. In questa giornata, la Chiesa, che ogni giorno dell’anno fa memoria di uno o più santi canonizzati e beati, esplicita la volontà di ricordare tutti i santi, nella loro collettività, contemplando che il loro numero superi di gran lunga quello dei calendari delle nostre agende. C’è un popolo in cielo di uomini e donne che ci hanno preceduto e che con la loro vita hanno dato prova che la santità è concretamente possibile, non è affare di una classe di supereroi della fede, ma riguarda tutti i battezzati che hanno saputo fare dei loro giorni una vita bella, buona e felice.
È in forza di questo convincimento, che la fede, il Dna del popolo di Dio, si trasmette anche attraverso il nome che i genitori scelgono per i propri figli. Se ultimamente la scelta del nome è dettata anche da riferimenti che non hanno alcun legame con la storia famigliare, è ancora molto viva la volontà di attribuire ad una nuova creatura o il nome di un santo agli onori degli altari, o quello di un proprio congiunto. In questo parallelismo riconosciamo che la fede e la speranza passano, dall’inizio della storia, di generazione in generazione. Un bimbo che a Roma si chiami Filippo, non solo a motivo del grande co-patrono della capitale, ma perché quello è il nome del nonno, sperimenta fin dalla nascita l’affidamento ad un suo santo speciale.
Nel Battesimo ogni creatura rinasce dall’alto, ma poi la fede di quel piccolo fratello filtra attraverso la testimonianza di chi lo precede e cammina avanti a lui per un tratto di strada. L’abc delle prime preghiere e il dialogo fiducioso con Dio, la sopportazione oblativa di una malattia, la predilezione per i poveri nella carità non ostentata: davvero innumerevoli sono le tessere che formano i mosaici di santità di ogni storia famigliare. È bello, quindi, poter disegnare un albero genealogico dei santi della nostra chiesa domestica, o santi della porta accanto, non per forza congiunti, ma piuttosto guide o compagni di strada a cui i nostri genitori ci hanno in qualche modo affidato, anche solo attraverso il vincolo tanto invisibile quanto stretto della preghiera. Lo stesso Papa Francesco ha più volte ricordato una nonna come nutrice della fede e personalmente non dimenticherò mai il calore con cui una carissima prozia mise, da madrina, la mano sulla mia spalla al momento di ricevere la Confermazione e la fermezza con cui pronunciò il mio nome. Se da sempre fu fisicamente claudicante, quella donna nel cammino della fede è stata per me una guida dal passo costante e sicuro.
Il bianco dei paramenti con cui la liturgia celebra la festa di Ognissanti può davvero dirsi la somma di tutti i colori di cui si compone l’incessante scambio fra chi già contempla a tu per tu il Signore e noi ancora pellegrini sulla terra. Viviamo la comunione dei santi anche quando solo noi rivolgiamo preghiere ai nostri patroni di famiglia. Forse non saranno mai protagonisti di miracoli secondo l’accezione comune, ma, con la loro fedele intercessione, più che “riposarsi in pace” come usiamo dire, essi sono luci che pulsano incessantemente; che rischiarano il cammino, ci ricordano la misericordiosa paternità di Dio, sono per noi fratelli maggiori nell’unico Figlio che è Gesù, e, per grazia, intessono quei legami di comunione promessi nello Spirito.
Fonte SIR