Il mese di ottobre appena trascorso è stato denso di appuntamenti in ricordo dell’ottobre 1943 quando l’esercito alleato, dopo lo sbarco in Sicilia, giungeva in Campania per liberare la popolazione dalla morsa nazista: settimane intense di combattimenti, bombardamenti, morte e distruzione; a distanza di ottanta anni ancora sorge il dubbio se la conta delle vittime sia quella definitiva, se i fatti narrati siano completi, se la lettura di alcune dinamiche di guerra sia stata soddisfatta…
Lo studio attento di ricercatori, storici e appassionati ha permesso nei decenni di ricostruire pagine, di denunciare crimini ancora non scritti sui libri di storia, di fare luce sul dolore come quello di molti paesi della Campania di cui ancora non vi è traccia sulle pagine ufficiali dei racconti di guerra. Siamo grati a chi non smette di recuperare testimonianze (le ultime viventi) e materiale documentario utile a scrivere e in qualche caso a riscrivere la verità. Numerosi sono stati gli eventi (convegni, commemorazioni…) dedicati a fatti e personaggi dell’ottobre 1943, ma non si sono esaurite le iniziative che si allargano dai piccoli e grandi paesi dell’alto casertano ad interi territori, uniti dal filo rosso di migliaia di morti innocenti. Sabato 11 novembre alle 16.30, a Caiazzo, presso Palazzo Mazziotti sarà ospitato il convegno “1943: stragi e resistenze meridionali”, il primo di un ciclo dal titolo “Tra memoria, futuro, attualità” che porta la firma di associazioni e istituti culturali. Interveranno il dott. Paolo Albano, Procuratore della Repubblica, il prof. Pino Giuseppe Angelone, Storico-ricercatore per l’Atlante delle stragi nazi-fasciste in Italia e il prof. Gianni Cerchia ordinario di Storia contemporanea all’Università degli Studi del Molise (scarica la locandina).
Su Clarus, scegliamo di approfondire sulla memoria storia, sul valore educativo che essa esercita soprattutto fra le giovani generazioni e lo facciamo con la prof. Ilaria Cervo, insegnante, presidente dell’Associazione Storica del Caiatino.
Quando alla conoscenza della Storia si unisce il coinvolgimento dei sentimenti e la memoria tramandata dalle generazioni, ci troviamo ad essere pienamente e nuovamente immersi nei fatti accaduti. Ci prende ancora più forte l’urgenza di non dimenticare. Perché? Anche se non mi piace farlo, credo sia importante dire che nei fatti drammatici di Caiazzo dell’ottobre 1943 sono “pienamente immersa” da un punto di vista familiare. Era cugina di mio nonno paterno Elvira Giorno ed erano familiari strettissimi di mio marito i D’Agostino di Monte Carmignano. Non potrò mai saperlo con certezza, ma non posso escludere che questa “appartenenza” così forte abbia influenzato molto le mie scelte e le mie azioni, prima come libera cittadina e madre, poi anche come insegnante e come Presidente dell’Associazione Storica del Caiatino (la storia del tragico evento). Recuperare, conservare, tramandare la conoscenza e la memoria di quei fatti è da quasi trent’anni tra gli obiettivi del mio impegno nel sociale. Iniziai, mi piace ricordarlo, in modo “visibile” con il primo comitato per il gemellaggio che fondai con altre quattro amiche – cinque donne, notare bene – per sostenere l’idea di gemellare Caiazzo con Ochtendung, cittadina tedesca della Renania-Palatinato dove, nel 1995, ancora viveva Emden, il boia di Monte Carmignano. Inutile dire che fu un modo di ricordare l’eccidio del 13 ottobre molto fuori dai classici schemi di un fare memoria che spesso si nutre di risentimento (comprensibile) anche verso gli “eredi”, solo perché ne condividono la lingua, dei carnefici, ma che (e non lo dico io ma lo diceva Wiesenthal) colpe non ne hanno. Quella del gemellaggio fu (ed è) l’esperienza che più di tutte le iniziative e commemorazioni – necessarie, sia chiaro, messe in atto per ricordare – mi ha positivamente segnato e che ben si identifica con quella “urgenza di non dimenticare” cui fa rifermento la domanda. Un’urgenza di non dimenticare che noi abbiamo tradotto nell’impellenza di un ricordare che non può essere unilaterale, ma deve essere condivisa tra gli “eredi delle vittime” e “gli eredi, loro malgrado, dei boia”. Solo camminando insieme si possono costruire ponti che uniscono, come più volte è stato ripetuto in questi ultimi giorni. E non è banale retorica.
Nel 1995 imperversava la guerra nei Balcani. Nel 2023 la situazione potremmo dire che, anche se in luoghi diversi, è rimasta invariata se non peggiorata. Di fronte a questa estrema facilità a dimenticare e a preferire la vendetta al dialogo, credo che sia chiaro perché l’urgenza di non dimenticare ci prenda in modo più forte. Ricordare per scongiurare dove si riesce a scongiurare, e condannare dove invece continuano a verificarsi quegli orrori, diventa senza se e senza ma un imperativo categorico.
Provare il gusto della Storia e farne motivo di condivisione “popolare”. Quale contributo nella ricerca e nella divulgazione da parte dell’Associazione Storica del Caiatino ai fatti accaduti localmente durante la Seconda guerra mondiale? L’Associazione Storica del Caiatino ha contribuito in modo, mi permetto di dire, determinante alla riscoperta e divulgazione delle notizie inerenti i fatti accaduti, in particolare a Caiazzo, nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Nel 1990 fu pubblicato il primo, e probabilmente unico nel suo genere, lavoro che ricostruisce con documenti e testimonianze quel tragico ottobre del 1943: “La barbarie e il coraggio”, scritto a quattro mani da Joseph Agnone e Peppino Capobianco e con la prefazione del professore Guido d’Agostino. Oltre alla ricostruzione di quanto avvenuto a Monte Carmignano, che fu possibile fare grazie ai documenti ritrovati da Agnone negli archivi americani, il volume ricorda, e ne descrive il “come” della morte, tutte le altre vittime civili cadute nel territorio caiatino per mano tedesca o per causa dei cannoneggiamenti provenienti dal Volturno. Del volume ne rimane, in associazione, una sola copia, segno evidente della sua diffusione direi capillare tra i caiatini e non solo. Va detto che questo volume fu scritto e pubblicato ben quattro anni prima che, nel 1994, venisse — casualmente? — alla luce una delle più grandi vergogne italiane, il cosiddetto “armadio della vergogna” che, tra le centinaia di fascicoli “dimenticati” in uno scantinato – poi si disse sottoposti ad “archiviazione provvisoria” (così fu chiamata questa operazione indegna) – nascondeva anche quello inerente i fatti di Caiazzo. Provare il gusto della Storia e farne motivo di condivisione “popolare” si legge all’inizio di questa seconda domanda. Un’Associazione Storica che voglia compiere bene il suo dovere deve divulgare ad ogni livello; la condivisione “popolare” deve, a parer mio, essere tra i suoi primi obiettivi se vuole promuovere e favorire la crescita culturale e civile di un territorio. Non avrebbe alcun senso “provare il gusto della Storia” e non cercare di “contagiarne” anche gli altri.
Di quale nuovo input didattico-educativo necessita oggi l’insegnamento della Storia nella Scuola, in particolare tra i più piccoli? Vado direttamente a quello che per me è il tasto dolente: bisogna rivedere e modificare i “programmi” di storia nel primo ciclo di istruzione. Mi permetto di suggerire al legislatore di rimediare allo scempio che è stato compiuto più di venti anni fa ai danni dei contenuti dell’insegnamento della Storia in questo segmento del percorso scolastico, a favore di presunte competenze che, a parer mio, per essere acquisite e padroneggiate, devono passare necessariamente attraverso la conoscenza dei fatti, anche in una fascia d’età così giovane. Dal 2002 la storia è stata “diluita”, “spalmata”, frantumata direi, in un percorso che parte dalla classe terza della scuola primaria con la spiegazione di concetti decisamente complicati per un bambino di 8 anni, come il “big bang” e l’”evoluzione della specie” per concludersi nella classe terza della secondaria di primo grado quando si dovrebbe arrivare a parlare dell’attualità, ma non sempre succede. Ai più piccoli, come ai più grandi, va insegnato a pensare, a domandare, ad avere dubbi, anche ad otto anni. Questo può farlo solo un insegnante che continuamente si deve confrontare con l’intero arco della storia dell’umanità e non è costretto, come avviene appunto da vent’anni, a confrontarsi, parlo della scuola primaria, con gli organismi monocellulari, le alghe, i dinosauri, le guerre puniche, la pratica della mummificazione e il modo di truccarsi delle donne etrusche, con immersioni in pagine e pagine di notiziole, spesso inutili e ridondanti, messe lì dalle case editrici soltanto per appesantire gli zaini dei bambini.
Educare alla pace è la risposta ad un sereno rapporto con la Storia, ad una “parità” di fonti che non sempre è rispettata. Dunque più spazio e più voce al revisionismo, più dibattito e coscienza critica? Il sistema educativo Italiano a che livello si pone in tal senso? Cominciamo dal termine revisionismo che, francamente non mi piace come parola da usare per parlare di Storia e proprio per questo spieghiamo subito che esso va inteso come “riesame critico” di fatti storici sulla base di nuove ricerche e/o diverse interpretazioni delle informazioni di cui si è in possesso. Attenzione invece al revisionismo che produce pseudostoria, negazionismo e teorie del complotto. Detto ciò, ben vengano questo riesame critico e le nuove interpretazioni dei fatti. Un lavoro in tal senso, ad esempio, sta restituendo, al nostro Mezzogiorno la verità sulla Resistenza messa in atto nel 1943, anche nella regione Campania e nella nostra provincia di Caserta, tra le più colpite d’Italia quanto a distruzioni e numero di vittime civili. Resistenze, al plurale, le chiama lo storico Gianni Cerchia, proprio allo scopo di distinguerle, senza che questo ne sminuisca la portata, da quella che fu la Resistenza che abbiamo studiato fino ad oggi sui libri di storia. E quale mezzo migliore per educare alla Pace se non portando tra i banchi di scuola esempi veri di uomini e donne, spesso a noi vicini, che hanno creduto e combattuto per essa anche nelle nostre terre e che quindi non sono rimasti a guardare e ad aspettare. Quale strada migliore per educare alla Pace spiegando che ognuno può fare la sua parte, piccola o grande che sia! Il sistema educativo italiano come si pone in tal senso? Credo che continui a far leva soltanto sulla buona volontà dei suoi insegnanti e delle sue insegnanti migliori.
Grazie per avermi dato questa opportunità