Doriano Vincenzo De Luca* – Nel cuore di una dolorosa vicenda, un giovane, testimone della tragica caduta da cavallo che ha portato alla morte del fratello cadetto dell’Accademia militare, trova ispirazione nel dolore e nella compassione. Questo giovane, destinato a diventare una figura notevole, risponde al nome di Giuseppe Moscati. La visione della sofferenza e della perdita del suo caro familiare scatena in lui non solo il senso del dolore, ma anche un profondo richiamo alla misericordia e all’impegno per il bene altrui. La sua storia si trasforma così in un potente racconto di resilienza e dedizione al servizio della comunità.
È quasi impossibile sintetizzare le caratteristiche storiche antropologiche e religiose del popolo napoletano. Ma se volessimo fare un tentativo potremmo racchiudere il tutto in tre parole – strada, sofferenza, speranza – e rileggerle alla luce della vita di Giuseppe Moscati.
Anzitutto la strada. Napoli, con il suo suggestivo labirinto di strade strette e vivaci, è stata la scenografia che ha visto svilupparsi il cammino straordinario del medico santo. Le strade caotiche e pulsanti di vita della città partenopea hanno costituito il palcoscenico su cui si è dipanata la sua quotidiana opera. In questo contesto, Moscati ha affinato la sua comprensione della molteplicità della condizione umana, incontrando individui provenienti da diverse estrazioni sociali e contesti. Le vie di Napoli sono diventate la sua accademia personale, plasmando la sua empatia e alimentando la dedizione al servizio degli altri.
Poi la sofferenza. Napoli, con le sue sfide complesse e tortuose, ha condotto San Giuseppe Moscati attraverso un intricato labirinto di sofferenza, plasmando il suo spirito con la magia delle sue molteplici sfaccettature. La città, con le sue voci dissonanti di disparità sociale e la coreografia delle quotidiane lotte, ha intrecciato il tessuto dell’anima di Moscati in profonde trame di comprensione umana. Un luminare di fede e compassione, ha consacrato se stesso a lenire le ferite invisibili di chi camminava con il peso della sofferenza. Il dolore, riflesso negli occhi di Moscati, si è trasformato in un canto silenzioso, una melodia struggente che lo ha spinto all’azione, alimentando il suo desiderio di servire e guarire coloro che si trovavano nelle pieghe più oscure della vita. Il suo impegno a fronteggiare la sofferenza nella comunità è diventato il cuore palpitante di una dedizione incantata al bene degli altri, una sinfonia di amore e guarigione intrecciata nelle strade misteriose di Napoli.
Infine, la speranza. Napoli, tra le sue sfide increspate e le melodie struggenti della sofferenza, è diventata per Moscati un giardino rigoglioso, un terreno fertile in cui piantare i semi della speranza. La città, con la sua resilienza che risuona come un canto antico e uno spirito vibrante che palpita come un cuore pulsante, ha risvegliato in lui la fede incrollabile che il servizio e la dedizione potessero essere la chiave per tessere fili luminosi di speranza nelle trame intricate delle vite altrui. Come un poeta del bene, Moscati ha trovato nella fede in un domani radioso, nella speranza di guarigione come un balsamo celestiale e nel desiderio ardente di plasmare un bene comune, i pilastri su cui costruire la vera speranza. La sua esperienza napoletana si è trasformata in una ballata luminosa, una sinfonia di colori che risuona, ancora oggi, nelle piazze tortuose della quotidianità. Egli, ancora oggi, ci guida nel dipanare storie di luce attraverso le ombre delle difficoltà.
Il suo corpo riposa nella chiesa del Gesù Nuovo, a Napoli, presso la cappella dedicata a San Francesco Saverio, ma la sua presenza è viva nel cuore di tutti, perché come ben scriveva Salvatore Di Giacomo nella meravigliosa canzone Era de maggio: «Passa llu tiempoe llu munno s’avota, ma ammore overo no, nun vota vico».
* Sacerdote, Ufficio Comunicazioni dell’Arcidiocesi di Napoli