Liberi, dietro le sbarre di un carcere. E liberi più di altri uomini nelle catene di una mediocrità quotidiana priva di domande (a se stessi), di risposte, di umorismo e complicità; e spesso priva perfino di lacrime, di quelle che servono a rivelare la propria umanità. Liberi nel teatro, liberi grazie al teatro, alla forma d’arte che ha concesso ad undici detenuti della Casa Circondariale di Carinola di ri-conoscere le proprie emozioni ed esprimerle, di comunicare e suscitare reazioni nel pubblico che li ha applauditi.

Giovedì 14 dicembre nel Carcere dell’altocasertano diretto dal dott. Carlo Brunetti è stata presentata “Francesca da Rimini. Bizzaria comica scritta e stravesata del signor Antonio Petito” frutto del laboratorio “Teatro in Carcere” curato fin dal 2004 dagli educatori volontari Gianni Maliziano e Filippo Ianniello e negli ultimi due anni supportato dal contributo economico del Rotary Club di Sessa Aurunca. Presenti il Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria Lucia Castellano; Mons. Giacomo Cirulli, vescovo di Teano-Calvi, di Alife-Caiazzo e di Sessa Aurunca; il Presidente del Consiglio regionale Gennaro Oliviero; la presidente del Rotary Club di Sessa Aurunca Maria Cresce; il Luogotenente Cavaliere di Gran Croce Giovanni Battista Rossi e le numerose figure professionali in servizio in questo luogo: la vice direttrice Daniela Puglia, la funzionaria giuridico-pedagogica Paola Freda, l’educatrice Anna Di Tommaso, la dirigente sanitaria Antonella Migliozzi, il cappellano don Carlo Zampi, il comandante della Polizia Penitenziaria Attilio Napolitano e i vice Domenico Giammelli e Michele Pitti e con loro diversi uomini e donne a garantire il servizio di vigilanza e sicurezza. Numerosi anche i volontari che abitualmente frequentano la struttura, tra essi anche quelli della Caritas diocesana di Sessa Aurunca; ma soprattutto i familiari dei detenuti protagonisti dello spettacolo teatrale.

In serata, la scelta di esibirsi; e accade per la prima volta perché tutto corrisponda alla consuetudine, alle abitudini di chi si concede un piacevole momento. Normalità, dignità, libertà il leitmotiv degli interventi che hanno preceduto lo spettacolo: “Il teatro proficua occasione di crescita, di gestione delle emozioni e di comunicazione”, così il direttore Brunetti; “Andare in scena stasera, dopo il percorso durato mesi che ha coinvolto il gruppo di attori, vuole essere un forte messaggio di speranza e di riscatto, convinti che è possibile superare certe etichette”, il riferimento ad una facile standardizzazione dell’uomo punito dalla legge, destinato ad essere ‘diverso’, ‘isolato’, privo di ulteriori possibilità. Sul valore dell’esperienza teatrale in carcere e la volontà di farne una formula consolidata il Provveditore Castellano: “Puntiamo alla rete del teatro e all’idea di portarlo anche fuori da questi ambienti” e cita l’esperienza “Dialoghi di libertà”, il primo festival nel Sud Italia dedicato al Teatro in Carcere realizzato nella Casa di Reclusione “G. De Angelis” di Arienzo.

Il teatro spoglia dalle paure, libera sentimenti, lascia ad ogni interprete la possibilità di non nascondere se stesso. “Potevamo essere liberi e felici”, sono le parole di uno degli attori ipotizzando un titolo diverso alla serata ed esprimendo il fuoco interiore suscitato dall’esperienza, “perché così ci siamo sentiti durante le prove”: lo racconta in pubblico Filippo Ianniello, uno dei volontari “registi” che insieme al collega Maliziano ha preparato gli attori e condiviso con il gruppo lo studio, la tensione, l’evoluzione di queste anime. E aggiunge: “I nostri attori stanno vivendo un nuovo momento di libertà”, parole che consegnano al pubblico quel metro che permette di misurarsi tutti uguali, senza distinzioni, senza un noi e un loro. Lo spettacolo scritto da Petito si ispira alla tradizione pirandelliana del “teatro nel teatro”: la recita inizia con le fasi di reclutamento di nuovi e improvvisati attori a causa dell’assenza di quelli veri; bisogna scegliere tra chi c’è e metterlo alla prova, cavare dal di dentro di ognuno un nuovo ruolo, una nuova vita (in questo caso destinato alla scena del teatro). Ed è così che il laboratorio “Teatro in carcere” va oltre il percorso tecnico compiuto per lunghi mesi e diventa esperienza più profonda che per prima parla ai protagonisti e attraverso di essi si traduce in messaggio pubblico di riscatto, di cambiamento di rotta, non senza autoironia sulla propria condizione.

Il teatro mette alla prova, e in questo caso la prova è ben riuscita: in scena vanno qualità di ogni tipo: il linguaggio del corpo; le doti poetiche e canore di chi osa interpretare la Livella di Totò o magistralmente – senza musica – Malafemmena, sospendendo il fiato al pubblico. Sono stati bravi da emozionare emozionandosi al termine dello spettacolo. Al termine sguardi complici, occhi lucidi, la soddisfazione di aver lavorato in gruppo e messo a disposizione di un pubblico la loro fatica; hanno finalizzato uno sforzo non solo per se stessi ma per una fetta di società che è venuta ad applaudirli; si godono le luci e la standing ovation ma soprattutto il sogno di un secondo tempo fuori da qui diverso e migliore. La libertà concessa dal teatro è anche quella di prendere un microfono per dirsi vicendevolmente grazie, per chiamarsi “amici in un luogo di sofferenza” e poi per rivolgere parole di affetto a quanti hanno cura di loro.

Un Natale fatto di una luce diversa, lo proviamo a comunicare ai nostri lettori: non luce di luminarie e comete artificiali, ma luce fissa e profonda degli occhi di chi sta lentamente amando una nuova libertà: quella interiore prima ancora di quella che è fuori le sbarre. Ne sono consapevoli Raffaele Smarrazzo, Ciro Cerbero, Salvatore Buonomo, Antonio Luongo, Vincenzo Fioretti, Giovanni Russarollo, Carmine De Tommaso, Salvatore Polverino, Pasquale Di Micco, Ciro De Marino, Pasquale Politelli.

“Quando ci sono attività che valorizzano le qualità delle persone, siamo di fronte ad un forte momento formativo e ri-formativo”, le parole del Vescovo Giacomo Cirulli alla fine dello spettacolo. “Ho colto la loro capacità di immergersi in un’esperienza che non avrebbero mai immaginato di vivere ma che ha donato a queste persone emozioni mai provate facendo altre cose… Come nascere ad una nuova esperienza, che ti segna e diventa una ricchezza per te stesso. In più, emozioni gratuite, senza interessi, frutto della propria fatica e del percorso che lentamente, non senza fatica, ognuno di loro compie. Questa nuova capacità di esprimersi è segno di una ritrovata libertà”.

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