Comunità Monastica di Ruviano (Clicca)
di Padre Fabrizio Cristarella Orestano
MESSA DELLA NOTTE Is 9,1-3.5-6; sal 95; Tt 2,11-14; Lc 2,1-14
MESSA DELL’AURORA Is 62,11-12; Sal 96; tt 3, 4-7; Lc 2, 15-20
MESSA DEL GIORNO Is 52,7-10; Sal 97; Eb 1,1-6; Gv 1,1-18
Il Dio che nessuno ha mai visto e che nessuno può vedere restando vivo (Gv 1,18; Es 53,20; Sir 43,31), in un mistero vertiginoso, nasce da donna ed è deposto in una greppia…è quel neonato (Luca userà una parola greve per designarlo: bréfos, cioè il feto appena nato nella sua crudezza di frutto di un parto fatto di sangue e dolore!), un incapace di parlare (d’altro canto questo significa il termine “infante” = “che non parla”)…in quella mangiatoia è come gli animali incapaci di parlare…nel presepe, infatti, obbedendo ad una parola di Isaia, poniamo accanto al bambino due bestie mute: «il bue riconosce il suo padrone e l’asino la mangiatoia del suo signore» (Is 1,3).
Ecco il mistero del Natale! Il Verbo di Dio, il Verbo che è Dio, ha iniziato la sua precipitosa discesa verso gli inferi dove l’Adam, creato da Dio in un sogno di vita e di comunione, s’era andato a perdere…la sua discesa era iniziata nel grembo di una Vergine accogliente nella libera obbedienza, prosegue nella grotta tenebrosa, ma invasa dalla luce della gloria di Dio nella notte di Betlemme, giungerà alla tomba scavata nella roccia del giardino di Giuseppe d’Arimatea, anch’essa vergine («nessuno vi era stato ancora deposto» Lc 23,53) da dove esploderà, nell’ora della Risurrezione, una luce infinita per tutto il cosmo.
Natale: mistero da contemplare nello stupore e da celebrare nella compromissione! Si celebra solo ciò che vogliamo ci contagi e ci afferri, anzi si celebra per ricevere un contagio…diversamente compiamo dei riti; sì, a volte anche suggestivi o struggenti, ma solo riti! Il rito che Cristo ci chiede è celebrazione, cioè, è un dare accesso a Lui ed al suo mistero d’amore alla nostra carne, alla nostra concretissima storia. Dare accesso al suo umano nel nostro umano! Stanotte il profeta Isaia ha cantato nel suo oracolo una luce che brilla su un popolo chino sotto il giogo della tenebra, una luce che si identifica con un figlio che «ci è stato donato»…un figlio nel quale cielo e terra si uniscono, figlio della Vergine fatta di terra (le icone delle Madonne brune vogliono ricordarci che Lei, la Madre, rappresenta la terra resa feconda da Dio!) e figlio che solo Dio poteva dare al mondo in una concezione verginale («su te stenderà la sua ombra la Potenza dell’Altissimo» Lc 1,34)!
Cristo Gesù è quella luce, una luce che le tenebre ormai non possono sopraffare (cf. Gv 1,5); egli è la luce apparsa a raccontarci Dio e di conseguenza a raccontarci l’uomo e lo ha fatto con la sua umanità che ama «fino all’estremo” (Gv 13,1)! Il mondo è davvero nelle tenebre, perché vuole vivere nelle tenebre perché le sue opere malvagie non vengano alla luce (cf. Gv 3,19-20), ma in fondo il problema vero non sono quelle innegabili tenebre, ma la paura dei cristiani di dare, con la propria carne, un’incredibile buona notizia, un evangelo stupefacente: “Non siamo orfani! Dio, a partire dalla nascita di Gesù, non è più un Dio lontano, riservato a qualche mistico o agli iniziati! Egli è davvero vicino! La storia è trasfigurata per l’eternità” (Olivier Clèment).
Come daremo questa sconvolgente notizia? Una notizia che deve scuotere i cuori, quei cuori troppo assuefatti alle parole sul Natale, quei cuori che non sanno più stupirsi di Dio. Certamente non con luminarie e scintillii troppe volte schizofrenici perché sganciati dal loro vero, unico senso; certamente non predicando la bontà di un giorno…ma solo, solo con la propria carne offerta a Cristo perché continui ad incarnarsi!! Davvero non c’è altra via; certamente è una via costosa, una via compromettente ma è davvero l’ora di finirla con un cristianesimo a buon mercato, un cristianesimo nel quale tanti, troppi, pretendono di avere un’identità cristiana (e come la difendono anche e soprattutto contro gli altri!) e poi vogliono essere come tutti gli altri popoli (cf. 1Sam 8,5.20)!
Cristo ha davvero bisogno di questa nostra povera carne per continuare a narrare l’amore di Dio, ha bisogno della nostra povera carne perché il mistero incredibile del Natale continui nella storia: Dio nella carne dell’uomo! Celebrare davvero il Natale è dare un assenso coraggioso a questa espropriazione, quella che Paolo dirà con parole stupite: «non più io vivo, ma Cristo vive in me!» (Gal 2,20). L’Apostolo aveva fatto l’esperienza dell’irruzione di Cristo nella sua carne: da allora niente nella sua vita era stato più come prima…e non fu l’esperienza di un giorno, ma dello stravolgimento di una vita! Siamo disposti a questo? Se sì, celebriamo il Natale del Signore, diversamente è meglio darsi alle varie politically correct “Festa d’inverno”, “Festa delle luci” o altre sdolcinature simili…il Natale del Signore è altro, è cosa serissima! Sì, mistero adorabile e dolcissimo, ma serissimo e compromettente!
Il Natale vero ci mette in prima linea nella storia con tutto il coinvolgimento della nostra concretissima carne. Se l’umanità ignora Cristo noi continuiamo umilmente, senza arroganze a farlo nascere in noi ed attraverso noi…questo avverrà solo se avremo il vero coraggio di non tirarci indietro! Non tirarci indietro in questo tempo in cui tanti, tantissimi si tirano indietro, non “rimangono”, preferiscono le strade facili del mondo … Non tirarci indietro neanche dinanzi alle delusioni della vita ecclesiale e dinanzi alla marginalizzazione del cristianesimo! Credo che essere marginali ci farà bene, in primo luogo perché ci renderà più simili a Colui che chiamiamo Signore e che oggi contempliamo nella marginalità della stalla di Betlemme, nella marginalità di una famiglia senza importanza, nella marginalità di chi è lontanissimo dai palazzi del potere e civile e “religioso”; di uno che l’Evangelo ci mostrerà fino all’estrema marginalità della vergogna della croce!
Il Messia che oggi è nato scelse una via che troppe volte abbiamo voluto obliare, eclissare magari anche in nome dell’annunzio dell’Evangelo, magari in nome di un efficientismo da porre al servizio della “causa di Gesù”! E così si è tradito il sogno di Dio. Quale sogno? Quello di uomini che siano pienamente uomini in una vita di bellezza, di bontà e di senso come fu quella di Gesù di Nazareth che è venuto per fare paradossalmente una cosa sola (già lo dicevo prima): «a insegnarci a vivere in questo mondo», da uomini, da uomini veri, come scrive l’autore della lettera a Tito nel passo che ascoltiamo ogni anno nella Notte Santa del Natale!
Oggi è tempo di svolte per ciascun discepolo di Gesù, per la Chiesa tutta. O la svolta o l’insignificanza, che non si deve confondere con la marginalità, ma si deve leggere come fallimento e incapacità a ridire l’Evangelo! Questo accade quando si oblia l’umano e si crede di realizzarlo nelle vie di morte della mondanità! Buon Natale! Quello vero!