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Paolo Bustaffa – Alle pagine mediatiche che raccontano le tragedie delle guerre seguono sempre quelle che raccontano come l’economia e la finanza dettino o cerchino di dettare legge alla politica. Non sono pagine separate.
L’eco del fragore delle armi e le immagini di distruzioni e di morti non si ritrovano nelle notizie che parlano di meccanismi di mercato dove il profitto umilia e ferisce la dignità delle persone. Le conseguenze del rapporto tra politica debole e mercato forte si rintracciano nelle storie di diseguaglianze, di precarietà, di scarto.
Di fronte a questo quadro si è posto papa Francesco ricevendo in udienza il 4 gennaio i rappresentanti di Dialop (Trasversal Dialogue Project), un percorso che da dieci anni pone il tema del bene comune al centro del dialogo tra socialisti/marxisti e cristiani.
Ci si chiede se non sia un’utopia pensare che sulle macro-strategie possano influire progetti ed esperienze che hanno a cuore tanto le regole dell’utile quanto la dignità delle persone, delle famiglie e delle comunità. Come un’economia circolare, un’economia solidale, un’economia di comunione possono cambiare le logiche delle multinazionali?
La risposta di Francesco a imprenditori, economisti e politici di Dialop è questa: “Non tiratevi indietro, non arrendetevi, non smettete di sognare un mondo migliore. È nell’immaginazione, infatti, che intelligenza, intuizione ed esperienza e memoria storica, si incontrano per creare, avventurarsi e rischiare”.
Per affrontare questa sfida vengono suggeriti tre atteggiamenti: avere il coraggio di rompere gli schemi, di cercare vie nuove e invertire la rotta; dedicare l’attenzione ai deboli perché una civiltà si misura da come vengono trattati; impegnarsi nella lotta per la legalità contro la piaga della corruzione, degli abusi di potere.
Percorsi difficili ma, ricorda Francesco, “quante volte lungo i secoli stati proprio i grandi sogni di libertà e di uguaglianza e di fraternità, uno specchio del sogno di Dio, a produrre svolte e progressi”.
Su queste strade ci sono tracce e orme lasciate in tempi difficili e che oggi diventano un incoraggiamento e un appello a pensare e a sperimentare percorsi profetici. E qui c’è un’immagine sorprendente. “Mi piace – dice Francesco – chiamare ‘poeta sociale’ chi si impegna in questo campo perché poesia è creatività e qui si tratta di mettere la creatività a servizio della società perché sia più umana e fraterna”.
La poesia apparentemente così lontana dalla concretezza e dal realismo è la postura interiore per creare alternative a un pragmatismo che riduce uomini e donne a numeri, percentuali, clienti, utenti, consumatori. elettori
La poesia è un esercizio di sognatori che nulla realizzano? Una risposta viene dalle molte buone prassi che sono sorte in questi anni e stanno crescendo anche nel nostro Paese. In questo contesto di creatività e competenza, che andrebbe meglio conosciuto, perché non pensare il “poeta sociale” come un costruttore di buona politica, di bene comune?