Daniele Rocchi – “Se la guerra non finirà presto a Gaza moriremo tutti di fame e di stenti. Siamo stanchi di vivere continuamente sotto le bombe. Quando le condizioni di sicurezza ce lo permettono usciamo dalla parrocchia per reperire del cibo e il necessario per vivere. Davanti a noi abbiamo solo macerie, palazzi distrutti, morte. Non vediamo altro”. Con la voce rotta dall’emozione, suor Nabila Saleh, prova a descrivere al Sir quanto è sotto i suoi occhi a Gaza, in piena crisi umanitaria. Nelle strade di Gaza City, dove è situata la parrocchia della Sacra Famiglia, nel quartiere orientale di Al Zeitoun, è fissa la presenza dei carri armati israeliani: “muoversi è rischioso.
In questi giorni la pioggia ha reso la vita ancora più difficile, soprattutto a quelli che vivono nelle tende, nella zona sud della Striscia. Ci sono migliaia di bambini in
queste condizioni e moltissimi sono rimasti orfani”. “Chi si prenderà cura di loro? A Gaza oggi non esiste un luogo sicuro. Di notte sentiamo il fragore dei bombardamenti. Di giorno sono gli spari a scandire il trascorrere del tempo”. Suor Nabila, prima della guerra, dirigeva la scuola cattolica delle Suore del Rosario, circa 1300 alunni, praticamente tutti musulmani. “La scuola non esiste più – dice – è stata bombardata e distrutta. Siamo tornati pochi giorni fa a visionare la situazione e abbiamo notato che nel frattempo è stata saccheggiata, hanno rubato anche i nostri vestiti di religiose.
Chi ha compiuto tali atti credo che abbia poi rivenduto tutto perché oggi a Gaza si sopravvive anche così”. La storia di Nicola e di Hani. Nella parrocchia latina, l’unica cattolica di Gaza, vivono da tre mesi almeno, circa 600 sfollati cristiani. Tutti hanno deciso di restare e di non spostarsi al Sud della Striscia, come intimato dall’esercito israeliano. A dare un po’ di speranza alla comunità cristiana è stato, l’altro ieri, un battesimo, celebrato dal vicario parrocchiale padre Youssef Asaad. Il nome di battesimo imposto al bambino è Nicola e, particolare significativo, rivela suor Nabila, è “l’acqua usata per battezzarlo, benedetta nella parrocchia ortodossa di san Porfirio poco prima che venisse colpita dai raid dell’aviazione israeliana con decine di vittime e feriti”.
A gioire da Gerusalemme è stato anche il parroco, padre Gabriel Romanelli, che allo scoppio della guerra era fuori della Striscia e che non è riuscito ancora a rientrare tra i suoi fedeli ma con i quali è in contatto quotidiano. “Il bambino – dice al Sir padre Romanelli – è il secondo figlio di un fedele, Ramzi Hamash, che lavora come tecnico nella nostra parrocchia. Il battesimo doveva essere celebrato dal Patriarca latino di
Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa, ma a causa della guerra non è stato possibile”. Alla gioia del battesimo, purtroppo, si è aggiunto anche il dolore per la morte di un altro cristiano, afferma il parroco. “Un giovane fedele ortodosso, Hani Abu Daoud, padre di 4 figli, uno appena di pochi mesi, è morto vicino a Rafah. Le sue condizioni di salute erano gravi.
Era in lista per un trapianto di rene e bisognoso di dialisi, per questo motivo da Nord era andato a Sud, verso Khan Yunis, per cercare un ospedale dove fare le terapie. Gli ospedali a Gaza – sottolinea padre Romanelli – non sono più in grado di fornire queste terapie. Ha cercato allora di tornare nel nord per ricongiungersi con la sua famiglia. Ma a nessuno che ha lasciato il nord di Gaza è permesso tornare. Così è morto da solo, lontano dai suoi parenti, senza una sepoltura degna. Non sappiamo se il suo corpo potrà mai essere
riportato nella sua parrocchia”. Preghiera incessante. Dolore, sofferenza e pochissime gioie, quanto accade riassume bene l’immagine di questa guerra vissuta da dentro le mura della piccola parrocchia della sacra Famiglia.
C’è anche chi prova a tornare alla propria abitazione nella speranza di ritrovare un “briciolo di normalità” come racconta suor Nabila: “Quattro famiglie, le cui abitazioni
erano state danneggiate ma non del tutto distrutte dai bombardamenti israeliani, nei giorni scorsi avevano cercato di farvi rientro, ma dopo pochi giorni sono tornate da noi. Troppo grande la paura e la solitudine in mezzo alle macerie e a tanta morte”. Le notizie di un accordo per una tregua più o meno lunga, tra Hamas e Israele, alimentano nei gazawi la speranza della fine della guerra ma, rimarca la religiosa, “non credo che avverrà presto. A riguardo sono piuttosto pessimista ma noi non cessiamo mai di pregare per la pace e di chiedere preghiere per la fine immediata e permanente della guerra. In questo non siamo soli. Pochi giorni fa ho avuto la gioia di parlare di nuovo al telefono con Papa Francesco. Mi ha detto che conosce le nostre sofferenze e che prega per noi. Al mondo dico pregate per Gaza perché abbiamo bisogno di un miracolo!”.
Fonte SIR