Il crescendo delle tensioni in Terra Santa, con il carico di difficoltà economiche e sociologiche che porta con sé, riabilita la “teoria dei due Stati”, dal momento che è inverosimile “pensare a uno Stato unico”. Padre Francesco Patton, Custode di Terra Santa, ai microfoni del SIR torna sulla questione palestinese, affermando come ad essere coinvolti siano anche i cristiani di Terra Santa, ai quali va concesso un “sostegno concreto”.
Daniele Rocchi – “C’è un disagio e una grande difficoltà ad affrontare questi temi anche per noi cristiani di Terra Santa perché ci rendiamo conto benissimo delle sofferenze che ci sono da una parte e dall’altra. Ci rendiamo conto delle ragioni e dei torti da una parte e dall’altra. Desideriamo che questa guerra finisca, perché altrimenti il solco di odio ogni giorno diventa più profondo, e rimettere insieme i pezzi dopo sarà davvero molto difficile”. È quanto dichiarato da padre Francesco Patton, Custode di Terra Santa, in una intervista con i media vaticani, diffusa il 4 maggio scorso (ndr), in cui passa in rassegna la situazione in Terra Santa, con particolare riferimento alla guerra a Gaza e alle tensioni in Cisgiordania.
Per il Custode “serviranno tempi lunghi per superare questo tipo di ferita, perché la dimensione emotiva in questo conflitto è stata fortissima”. Per risanare i cuori serve “molto tempo e soprattutto leadership illuminate, da una parte e dall’altra, che sappiano lavorare per una riconciliazione” come avvenne in Europa nel Novecento dopo le due guerre mondiali con milioni di morti”. Con il 7 ottobre è tornata in auge l’ipotesi dei due Stati, da sempre la posizione della Santa Sede: “ora – spiega Patton – si è preso coscienza che la questione palestinese deve avere una soluzione politica.
E quindi, il ritorno della teoria dei due Stati è legato anche al fatto che in questo momento credo non sia verosimile pensare a uno Stato unico. Il come concretamente mettere in piedi il secondo Stato, quello di Palestina – perché uno c’è già, quello di Israele – ha bisogno sicuramente del contributo prima di tutto dei diretti interessati, cioè dei palestinesi. Non si può far lo Stato di Palestina sulla pelle dei palestinesi, perché questa operazione è già stata fatta a suo tempo e non ha funzionato. Vanno coinvolti. Bisogna poi che i Paesi più influenti – in primis gli Stati Uniti, ma anche i Paesi arabi del Golfo – aiutino a trovare la forma adatta”.
Quanto sta accadendo vede coinvolta anche la componente cristiana: “i nostri fedeli – continua il Custode – da un lato sentono di appartenere a un popolo, dall’altro sentono anche, in quanto cristiani, di essere chiamati ad andare al di là di una visione etnica. Anche i cristiani soffrono molto, in questo momento, perché si trovano in mezzo e
vengono tirati da entrambe le parti. C’è chi, da una parte e dall’altra, vorrebbe che i cristiani si schierassero in modo unilaterale. I cristiani sono la componente culturalmente più pacifica, e quindi quella che in qualche modo potrebbe dare un contributo, in futuro, a quel percorso di riconciliazione di cui parlavamo. Si sentono però frustrati perché, spesso dal mondo ebraico sono considerati semplicemente arabi e dal mondo arabo non sono considerati sufficientemente arabi in quanto cristiani. In questo momento è tornato il desiderio di emigrare”. Da qui l’appello del Custode per “un sostegno concreto per poter aiutare i cristiani e la popolazione locale di fronte alle difficoltà economiche che la guerra ha portato”.
Fonte SIR