“Sant’Antonio aiuti ogni uomo e donna di buona volontà a riscoprire la Parola del Vangelo come buona notizia che apre al perdono, alla pace, all’ascolto e alla cura premurosa dei deboli e dei fragili”. Lo scrivono mons. Claudio Cipolla, vescovo di Padova, e fra’ Antonio Ramina, rettore della Basilica del Santo, in un messaggio congiunto in occasione della festa di sant’Antonio che ricorre il 13 giugno.
“A sant’Antonio”, esordisce il documento, “desideriamo quest’anno rivolgerci lasciandoci ispirare in modo particolare dal senso di responsabilità con il quale, appassionatamente, questo nostro amico si è sempre mobilitato contro le ingiustizie, contro ogni forma di violenza, contro le divisioni, in difesa dei poveri e di tutti coloro che, nella loro solitudine, hanno bisogno di aiuto”.
“Sarebbe bello – si legge nel messaggio – poter chiedere al Signore, ponendolo nelle mani di sant’Antonio, un dono diverso rispetto a quello degli anni scorsi. Con insistenza e con il cuore accorato abbiamo infatti più volte pregato per la pace, ma ci ritroviamo a dover fare nostro il grido di Geremia (cfr. 6,14): ‘Pace, pace, ma pace non c’è’. I conflitti sulla faccia della terra, anziché ridimensionarsi o trovare una via di uscita, sembrano moltiplicarsi e accendersi di sempre più preoccupante violenza”.
Chiedere la pace significa “non rimanere estranei ai drammi del mondo – spiegano mons. Cipolla e fra Ramina -. E soprattutto ci aiuta a sentirci impegnati a divenire noi, nella realtà in cui viviamo, persone che amano la pace e s’impegnano a edificarla. Un rapporto ristabilito in famiglia, un gesto di perdono accordato a una persona amica con cui abbiamo litigato, un segno di generosità che riallaccia la relazione con un collega, tante altre decisioni di questo tipo depositano nel cuore del mondo semi di pace che avranno frutto, forse a nostra insaputa. La preghiera ci aiuti a fare questo: a rimanere desti, per far sviluppare nelle nostre esistenze umili e ordinarie, personali e comunitarie, l’energia buona della pace”.
Non sempre è facile “renderci conto di quanto sia determinante la nostra responsabilità per costruire la pace insieme. Siamo troppo spesso di corsa, catturati da mille incombenze, divisi tra mille interessi e corriamo il rischio di perdere un’attitudine umana fondamentale: la nostra capacità di pensare”, osservano il vescovo e il rettore. “Una risorsa che siamo chiamati nuovamente a desiderare con nostalgia è proprio questa: la profondità! Ci serve l’ardire di fermarci, per metterci in ascolto della realtà che ci circonda, dei fratelli e delle sorelle, dei fatti che accadono. Il Sinodo diocesano ci ha aiutato in questo, ma guai a noi se lo consideriamo una tappa definitivamente conclusa. Occorre mantenersi in cammino”. “Potremmo indicare, fra mille possibili – si legge ancora nel messaggio -, alcune strategie a disposizione di tutti noi, che ci aiutino a recuperare lo spessore del nostro pensare, a recuperare il fascino di stare nel mondo innamorati della vita”. Anzitutto “il senso di gratitudine” che sa cogliere “molto bene d’aver ricevuto tutto in dono” ed è “l’antidoto fondamentale” contro solitudine, invidia e gelosia. Quindi la pazienza che non è “grigia accettazione”, ma “scelta libera e creativa di resistere al male, costi quel che costi, anche se apparentemente ci sembra di andare controcorrente”. Infine l’umiltà, “anche se è fuori moda e non ci attira per nulla” ma è “lo stile realistico di chi sa domandarsi che cosa conta davvero, che cosa rimane davvero. Sa cercare che cosa merita, davvero il nostro impegno”.