di Padre Gianpiero Tavolaro
Comunità Monastica di Ruviano (Clicca)
XI domenica del Tempo ordinario – Anno B
Ez 17, 22-24; Sal 91; 2Cor 5, 6-10; Mc 4, 26-34
Per parlare del Regno e introdurre i suoi ascoltatori all’interno di quello che non è solo uno tra i tanti “misteri” della vita di fede, ma che è il mistero al quale l’uomo è totalmente orientato (se è vero che tutta la predicazione di Gesù, in linea con quella profetico-apocalittica, intende preparare l’uomo alla imminente venuta del Regno di Dio), Gesù non ricorre a un linguaggio concettuale e tecnico – qual è quello di cui spesso le dottrine religiose si servono per esprimere le loro verità più essenziali –, ma predilige quella forma paradossale e interpellante che è propria del linguaggio parabolico.
Nulla di “aulico” è presente nelle parabole, costruite, come sono, intorno a scene, immagini, personaggi tratti dalla vita comune: eppure, ciò di cui esse parlano è la più elevata e nobile delle realtà che l’uomo possa concepire… il Regno di Dio, ossia l’essere pienamente in tutti di Dio.
Le parabole tentano, così, di costruire un ponte tra il mondo dell’uomo e Dio: esse si propongono di condurre l’ascoltatore nell’altrove di Dio, tenendo insieme – per quanto sia possibile al linguaggio umano – la non-estraneità, ma anche la distanza che intercorre tra l’umano e il divino.
Gesù parla di ciò che non si vede ancora mediante ciò che già si vede e, mentre cerca di rivelare l’invisibile, aiuta i suoi ascoltatori a capire che le “cose” del Regno di Dio non funzionano secondo i meccanismi soliti del mondo, né secondo i suoi tempi o le sue proporzioni. Sbaglia, dunque, chiunque voglia applicare nelle “cose” di Dio i medesimi parametri che contraddistinguono le “cose” del mondo, misurate, allora come oggi, secondo i criteri “quantitativi” del numero, del successo, del marketing…
Non è un caso che la prima parabola che Gesù racconta nell’evangelo sia quella del seminatore, con la quale si dice che il Regno è “fuori” dalla potenza dell’uomo e dal suo protagonismo: la costruzione del Regno passa per la potenza di un seme che è da Dio e che all’uomo sta semplicemente accogliere e custodire, perché possa vederne i frutti, secondo una “proporzione sproporzionata”, che è propria delle “cose” di Dio.
A questa parabola, Marco fa subito seguire – a mo’ di completamento, mediante una ripresa tematica – due brevi parabole: quella del seme che spunta da solo e quella del granello di senape.
Ancora dei semi per dire il Regno… ancora immagini che dicono piccolezza, forza vitale, sproporzione tra ciò che è dato all’inizio e ciò che sarà alla fine… Posto di fronte all’inarrestabile venuta del Regno di Dio, il discepolo di Gesù dovrebbe lasciarci istruire e toccare nel profondo da queste parole che invitano ad abbandonare ogni pretesa di grandezza, di visibilità a tutti i costi; ogni pretesa di “contare” per il mondo; ogni pretesa di agire nella storia grazie alla potenza dei mezzi e delle strutture.
Questo è davvero un “evangelo”, una buona notizia: la venuta del Regno nella storia degli uomini passa non per l’evidente, ma per il nascosto; non per lo straordinario, ma per l’ordinario; non per il grandioso, ma per il piccolo… quella del Regno è una piccolezza che genera grazia, che diviene – proprio come la pianta prodotta dal granello di senape – rifugio dei deboli («gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra»)… è una piccolezza che accoglie, perché solo la piccolezza sa accogliere davvero, capace com’è di non alzare muri di indifferenza e di sospetto.
Per il mondo tutto questo è insignificante stoltezza(cf. 1Cor 1,22-25): eppure gli occhi di Dio guardano in modo diverso e, andando al di là di ciò che appare, sanno trovare grandezza dove c’è piccolezza… miseria dove c’è presunta grandezza!