Stefano De Martis – Il Senato ha approvato con 109 voti a favore in prima lettura la legge di revisione costituzionale che introduce il cosiddetto premierato. In estrema sintesi, si tratta dell’elezione diretta del Presidente del Consiglio a cui vengono attribuiti nuovi e assai più estesi poteri, in particolare in materia di scioglimento delle Camere.
È la “madre di tutte le riforme”, per usare le parole della stessa Giorgia Meloni, e in effetti gli otto articoli in questione sono potenzialmente destinati a cambiare profondamente gli assetti istituzionali della Repubblica, modificando in pratica la forma di governo disegnata dalla Costituzione del 1948. Per entrare in vigore il testo dovrà essere approvato anche dalla Camera e successivamente, a distanza di almeno tre mesi, ri-approvato da entrambi i rami del Parlamento. Se non sarà raggiunto il quorum dei due terzi sarà possibile chiedere un referendum e l’ipotesi è considerata inevitabile in assenza di un’intesa con l’opposizione.
Il testo
Vediamo i passaggi principali del testo uscito da Palazzo Madama. L’art.5, che riscrive l’articolo 92 della Costituzione, è quello centrale e caratterizzante. In esso si afferma che “il Presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale e diretto per cinque anni, per non più di due legislature consecutive, elevate a tre qualora nelle precedenti abbia ricoperto l’incarico per un periodo inferiore a sette anni e sei mesi. Le elezioni delle Camere e del Presidente del Consiglio hanno luogo contestualmente”. “La legge – afferma ancora il testo – disciplina il sistema per l’elezione delle Camere e del Presidente del Consiglio, assegnando un premio su base nazionale che garantisca una maggioranza dei seggi in ciascuna delle Camere alle liste e ai candidati collegati al Presidente del Consiglio, nel rispetto del principio di rappresentatività e di tutela delle minoranze linguistiche. Il Presidente del Consiglio è eletto nella Camera nella quale ha presentato la candidatura. Il Presidente della Repubblica conferisce al Presidente del Consiglio dei ministri eletto l’incarico di formare il Governo e nomina, su proposta del Presidente del Consiglio, i ministri”. Come si può notare non sono indicate le modalità di elezione, rinviate a una successiva legge ordinaria, e soprattutto non è esplicitata una soglia minima di consensi necessari per far scattare il premio di maggioranza. Questo è un aspetto fortemente criticato dalle opposizioni che comunque contestano tutto l’impianto della riforma.
Un emendamento presentato dallo stesso esecutivo, il 7.900, regola le procedure nell’eventualità di una crisi, con l’intento di evitare i cambi di maggioranza (nel gergo giornalistico “ribaltoni”) e la formazione di governi “tecnici”. Il testo modifica radicalmente le attuali procedure. Eccolo: “In caso di revoca della fiducia mediante mozione motivata, il Presidente del Consiglio eletto rassegna le dimissioni e il Presidente della Repubblica scioglie le Camere. Negli altri casi di dimissioni, il Presidente del Consiglio eletto, entro sette giorni e previa informativa parlamentare, ha facoltà di chiedere lo scioglimento delle Camere al Presidente della Repubblica, che lo dispone. Qualora il Presidente del Consiglio eletto non eserciti tale facoltà, il Presidente della Repubblica conferisce l’incarico di formare il Governo, per una sola volta nel corso della legislatura, al Presidente del Consiglio dimissionario o a un parlamentare eletto in collegamento con il Presidente del Consiglio. Nei casi di decadenza, impedimento permanente o morte del Presidente del Consiglio eletto, il Presidente della Repubblica conferisce l’incarico di formare il Governo, per una sola volta nel corso della legislatura, a un parlamentare eletto in collegamento con il Presidente del Consiglio”.
Altri cambiamenti riguardano l’eliminazione della nomina dei senatori a vita, l’elezione del Presidente della Repubblica (è sufficiente la maggioranza assoluta a partire dal sesto scrutinio, non dopo il terzo com’è attualmente) e la possibilità di scioglimento delle Camere anche durante il “semestre bianco” del Quirinale qualora tale atto sia “dovuto” (in sostanza se richiesto dal premier sfiduciato o dimissionario). Vengono inoltre precisati i casi in cui gli atti del Presidente della Repubblica non richiedono la controfirma del governo: “La nomina del Presidente del Consiglio dei ministri, la nomina dei giudici della Corte costituzionale, la concessione della grazia e la commutazione delle pene, il decreto di indizione delle elezioni e dei referendum, i messaggi alle Camere e il rinvio delle leggi”.
La riforma si applicherà “a decorrere dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere successivi all’entrata in vigore della disciplina per l’elezione del Presidente del Consiglio dei ministri e delle Camere”. Quindi non in questa legislatura.
SIR