Paolo Bustaffa – Oltre cinquecentomila giovani affrontate le prove scritte per la maturità sono in questi giorni alle prese con quelle orali. Sono ragazze e ragazzi che hanno attraversato il tempo del covid e dopo questa fatica che ha lasciato anche in loro tracce profonde si sono presentati a una prova che resterà nella loro memoria anche come conclusione di un’irrepetibile storia di legami tra coetanei e di comunicazione tra giovani e adulti quali sono i professori.
I media hanno raccontato i volti, le ansie, i commenti, le speranze: timore e tremore si sono incrociati mettendo alla luce una maturità che precede e sostiene quella che verrà sancita dai voti delle commissioni.
Negli stessi giorni la cronaca raccontava lo strazio della moglie di Satnam Singh bracciante gravemente ferito da una macchina agricola e trattato come un rifiuto dai suoi datori di lavoro. Nell’apprendere la notizia della morte del marito di 31 anni la giovane donna indiana esclamava: “L’Italia non è un Paese buono!”. Sempre negli stessi giorni un ragazzo di diciotto anni, coetaneo dei maturandi, moriva schiacciato da un mezzo agricolo. Ancora negli stessi giorni nelle carceri italiane si sono ripetuti i suicidi per disperazione e nel nostro mare annegavano bambini, donne e uomini innocenti.
Lo storico Marco Revelli commentava: “La qualità di un Paese si giudica anche da questi episodi. E non può definirsi Grande una nazione che li permette o li tollera o anche solo li ignora”. Le altre pagine dei media raccontavano di deliri di onnipotenza, di guerre e di massacri, di sconvolgimenti ambientali, di sconcertanti scontri politici, di altre violenze sulle donne.
“Dov’è la maturità?” ci si chiedeva e ci si chiede.
É in quegli uomini e quelle donne di potere o in quei ragazzi e quelle ragazze che scrivono dell’imperfezione, del magistero del silenzio, dell’uomo che si ribella alle macchine, del patrimonio artistico e ambientale nella Costituzione, della poesia contro la guerra?
“Dov’è la maturità”: la domanda si è fatta e rimane insistente come un grido nella nebbia della storia, come una ricerca di senso di fronte a scelte insensate, come un gesto di ribellione alla rassegnazione all’indifferenza di fronte a disumanità vicine e lontane.
Solo un sordo non sente le domande che vengono dalle aule degli esami: “Voi adulti che chiedete a noi giovani di superare una prova di maturità quale testimonianza di maturità state offrendo? Pensate davvero di poterci insegnare ancora qualcosa?”.
Generalizzare non è un segno di maturità e i giovani non generalizzano, sanno però distinguere gli adulti credibili dagli adulti che non lo sono.