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Commento al Vangelo, domenica 30 giugno. La fede è una scelta di campo, è prendere posizione

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di Padre Gianpiero Tavolaro
Comunità Monastica di Ruviano (Clicca)

XIII domenica del Tempo ordinario – Anno B
Sap 1, 13-15;2, 23-24; Sal 29; 2Cor 8,7.9.13-15; Mc 5, 21-43

Giotto, Resurrezione della figlia di Giairo, affresco, 1305, Cappella degli Scrovegni, Padova

L’onnipotenza divina non è altro dal suo amore: Dio è onnipotente nell’amore.
A lui, dunque, è possibile e “conviene” tutto ciò che è per la vita e questa possibilità viene dispiegata non come una potenza ultra-umana, che schiaccia le impotenze degli uomini e li umilia: la potenza amorosa di Dio, che in Gesù salva, diventa invece accessibile all’uomo mediante la via della fede.

È la fede, infatti che dà accesso, sia a Giàiro che alla donna emorroissa, a quella potenza di vita e di salvezza che essi incontrano e sperimentano in Gesù. Certo, la fede è un rischio, non solo perché è un fidarsi dell’invisibile e di ciò che non è mai del tutto afferrabile e misurabile, ma anche perché espone il credente a prendere una posizione, facendo una scelta di campo.

Rispetto a questo, è paradigmatica la vicenda della donna malata di emorragie, la quale ha dovuto farsi strada tra la folla sprezzante e ostile, assumendo lo stare di fronte a Gesù, rispondendo alla sua domanda su chi l’avesse toccato.

Gesù invita la donna a non “prendere” solo qualcosa da lui: se, infatti, la vita e la salvezza che egli è pronto a donare sono gratuite, esse si collocano tuttavia dentro una relazione: anzi, è la relazione stessa a essere vita e salvezza, ed è per questo che essa va assunta senza riserve. Non basta la fede nella potenza di Gesù: occorre affidarsi a Lui!

Tra tutta una folla che tocca, Gesù si accorge di essere stato toccato da qualcuno in modo diverso, non per curiosità o fanatismo, ma con un profondo bisogno di ottenere guarigione: Gesù “sfida” colei che porta in sé quel bisogno (e che per quel bisogno è disposta a fidarsi) a riconoscere, al fondo di esso, il desiderio di vita, che è desiderio di essere guardati e di guardare… nell’amore. In realtà, la donna deve solo riconoscere ciò che già la muove nel profondo: un desiderio di vita che la spinge a non farsi imprigionare da alcuna legge, affrontando gli sguardi di giudizio dei benpensanti al cui sguardo il suo gesto deve essere apparso “disobbediente” nei confronti delle leggi di purità contenute nella Scrittura (una donna affetta da tali emorragie, infatti, non solo era impura, ma faceva contrarre impurità a chiunque la toccasse).

E Gesù non si ferma a quel “rischio” di impurità: egli, che, nel suo primo giorno pubblico, aveva scelto di mettersi in fila con i peccatori sulla riva del Giordano, non teme di prendere su di sé quella infermità e chiede di farlo non in modo anonimo, ma “in relazione”.

Mentre la folla riserva a questa donna sguardi forse ostili, Gesù le riserva uno sguardo carico di amore, chiamandola “figlia”. È qui che risiede un evangelo per quella donna… e per chi, come quella donna, chiede a Gesù salvezza e vita. E salvezza e vita sono anche al cuore del più ampio racconto all’interno del quale Marco ha incastonato l’episodio della donna emorroissa: quello della figlia di Giàiro. Anche Giàiro, come quella donna, ha dovuto affrontare la folla e i suoi giudizi per mostrare e vivere la sua fede, esponendosi al ridicolo e all’idea che di lui si erano fatti gli altri: un povero padre fuori di sé dal dolore, tanto da sperare pateticamente l’impossibile. Presentandosi come dei “saggi”, gli amici di Giàiro gli dicono parole di “buon senso”, ma prive di umanità e di fede: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?».

Se la donna emorroissa si spinge al di là della legge, Giàiro si spinge al di là del buon senso e anch’egli rischia! E, ancora una volta, al rischio dell’uomo che chiede salvezza, Gesù risponde rischiando: egli, infatti, prende per mano la bimba morta, contraendo ancora un’impurità, quella proveniente dal contatto con un cadavere. E in questo “farsi carico”, egli ridona vita, anticipando quanto avverrà a Pasqua. È alla luce della Pasqua, infatti, che questa scena va letta, perché essa è rivelativa di come la Pasqua di Gesù sia vittoria sulla morte per noi uomini e per la nostra salvezza.

Ed è per questo nesso con la Pasqua che Gesù chiama con sé i tre discepoli che saranno testimoni e della gloria della Trasfigurazione e della sfiguarazione del Getsemani: testimoni di luce e di tenebra, Pietro, Giovanni e Giacomo sono chiamati a essere testimoni della sintesi che la Pasqua di Gesù realizzerà tra i due momenti, giungendo alla vita attraverso l’oscura valle della morte. Ma, come per l’emorroissa, anche per Giàiro la potenza di Gesù esige una fede che sappia accogliere in silenzio la parola che Egli gli dice: «Non temere, soltanto abbi fede».

E così sarà anche per chiunque, nei secoli, continuerà a invocare il nome di Gesù, del Dio che salva.

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