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Il Cardinale Pizzaballa al Meeting di Rimini: Israele ed Hamas ad un punto cruciale, fondamentale il ruolo delle religioni

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“Siamo a un momento decisivo, dirimente. La guerra finirà, spero che con i negoziati si risolva qualcosa: ho dei dubbi, ma è l’ultimo treno. Se non si arriva a un cessate il fuoco ora sarà drammatico”. Lo ha detto il card. Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, intervenuto ieri mattina alla sessione inaugurale del 45° Meeting di Rimini. Parlando della guerra in corso tra Hamas e Israele, iniziata il 7 ottobre scorso, il patriarca ha spiegato che “si può andare verso il cessate il fuoco, ma anche verso una degenerazione. Tutto dipende dai prossimi giorni”. E davanti a questo rischio, ha rimarcato, “è importante pregare, possiamo solo pregare. Il male prodotto questa guerra, gli atteggiamenti di sfiducia, l’odio reciproco, il rancore, il disprezzo profondo, il rifiuto dell’esistenza dell’altro resteranno e ci dovranno impegnare tutti. Sarà una fatica immane”. In questa ricostruzione morale e spirituale, ha aggiunto, “un ruolo importante lo avranno i responsabili delle varie religioni. Purtroppo, in questo momento, il dialogo interreligioso è in crisi. È un dato di fatto che ora cristiani, ebrei e musulmani non riescono ad incontrarsi, almeno non pubblicamente. E a livello anche istituzionale, facciamo fatica a parlarci. Questo è un grande dolore anche per me personalmente”. Pizzaballa ha ricordato il documento sulla fratellanza di Abu Dhabi e ha auspicato che “tutto quanto è stato fatto nel campo del dialogo tra le religioni non sia buttato via perché avremo bisogno di ricominciare con una nuova fase. Il dialogo in religioso dovrà essere meno di élite e più di comunità. I leader religiosi hanno una grande responsabilità, non solo quella di pensare alla propria comunità, ma anche di aiutarla a non chiudersi dentro la propria narrativa, a non piegarsi su se stessa, ma ad alzare lo sguardo, a guardare l’altro, a riconoscere l’altro”.

Il difficile percorso del perdonarsi
Ha poi ribadito un nuovo e urgente impegno che deve assumere forma direttamente in Terra Santa alla domanda che gli è stata posta sul perdono: “La comunità cristiana deve portare dentro il dibattito pubblico la possibilità del perdono. Forse ora non si può fare. Bisogna attendere e lavorare a livello personale, comunitario e pubblico”. “Parlare di perdono in Terra Santa non è un’astrazione. Giustizia, perdono, sono per noi parole importanti, difficili e che toccano concretamente la carne e la vita delle persone”. Tuttavia, “la fede cristiana non può essere separata dall’idea di perdono. La fede è l’incontro con Cristo che ti salva e perdona. La consapevolezza di essere peccatore non è una condanna ma annuncio di salvezza”. Per il patriarca “perdono e giustizia, a livello personale, sono quasi sinonimi se illuminati dalla fede: Gesù, sulla croce, non ha atteso che si facesse giustizia per perdonare. Ha perdonato”. A livello comunitario e pubblico, ha aggiunto, “sono separati perché la comunità si regge anche su altre parole, come dignità, uguaglianza. Sono termini costitutivi della vita di una comunità”. “Perdonare senza che ci sia dignità e uguaglianza – ha ribadito Pizzaballa – significa giustificare un male che si sta compiendo. Il perdono chiede dinamiche che vogliono tempo, un processo di guarigione e un tempo di riconoscimento del male e dell’ingiustizia commessa. Il perdono ha bisogno anche di una parola di verità. Se non dici le cose con chiarezza, cosa perdoni?”. “In Sud Africa dopo l’apartheid c’è stata una commissione che ha lavorato anni per valutare, capire, guarire riconoscere. Non è semplice. Per un palestinese oggi perdonare significa giustificare quello che sta accadendo. Non può farlo. Deve attendere. Ma come pastore – ha concluso – devo ricordare che la giustizia senza perdono diventa recriminazione. Può diventare vendetta. Lo scopo non è relegare l’altro in un angolo, ma superare questa situazione e questo lo può fare solo il perdono”.

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