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Commento al Vangelo di domenica 25 agosto. “Signore, da chi andremo?”, il coraggio di quei pochi a restare accanto a Gesù

Commento al Vangelo, XXI domenica del Tempo ordinario, anno B

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di Padre Fabrizio Cristarella Orestano
Comunità Monastica di Ruviano (Clicca)

XXI domenica del Tempo ordinario – Anno B
Gs 24,1-2.15-17.18; Sal 33; Ef 5,21-32; Gv 6,60-69

Foto di Markus Distelrath da Pixabay23

Siamo all’ultima pagina di questo discorso sul Pane di vita che ci ha accompagnato in queste ultime domeniche … oggi c’è uno strano ma evidente mutamento: fino a questo momento nel racconto giovanneo si parlava di folle, di Giudei ma ora la scena, diremmo, si “restringe” e si parla di “discepoli”! Ora la questione riguarda quelli che stanno con Gesù; cosa ne fanno di quelle parole ardite e “brutali” di Gesù?

Lì, nei pressi del lago Gesù era partito dalla fame concreta della gente che lo stava seguendo, aveva dato risposta a quel loro concretissimo bisogno ma poi, vista la pressione della gente a cui importava solo la materialità di quel bisogno soddisfatto, Gesù passa, con pazienza, ma anche con audacia, a parlare di un’altra fame che pure attanaglia l’uomo e a cui si deve dare risposta: la fame di senso, la fame di vita, la fame e la sete che l’uomo prova nel suo profondo: e così Gesù rivela d’essere Lui il Pane disceso dal cielo per saziare la fame dei viventi; Gesù rivela che Lui è il pane-dono del Padre e che chi lo accoglie può dare risposta alla sua fame e sete di senso, alla sua fame e sete di vita. Chi accoglie il Pane che Lui è, dice Gesù, inizia a vivere di un’altra vita: la vita eterna, la vita di Dio in lui!

La rivelazione, però, non era finita qui: Lui stesso, Gesù, dà la sua carne come cibo ed il suo sangue come bevanda ed è necessario mangiare e bere la carne ed il sangue del Figlio dell’uomo. Solo così si instaura un’alleanza profonda e radicale con Dio, solo così inizia un dimorare pieno in cui c’è il sì di Dio ed è richiesto il sì dell’uomo.

Il discorso era partito dal dono che è Gesù per la storia, ed era approdato all’Eucaristia, carne e sangue del Figlio, vero cibo e vera bevanda … il cibo eucaristico vuole uomini maturi nella fede, capaci di entrare nella logica del dono fino all’estremo di quella carne e sangue che sono “costosi”!

Dinanzi a questa rivelazione i discepoli manifestano se davvero sono discepoli, se hanno scelto Gesù in toto ed al di là della piena comprensione delle sue parole. Seguire Gesù, infatti, non è seguire un personaggio affascinante e potente (aveva moltiplicato i pani!), ma è seguire “altro”, è avere contatto compromettente con una carne immolata ed un sangue versato … molti discepoli provano una ripulsa per questo Gesù! Il problema è che questo è il solo vero Gesù! Ed ecco che non restano! Ricordiamo che Gesù nel suo discorso aveva detto che il mangiare la sua carne e bere il suo sangue produce il dimorare, il restare come atto del credente pienamente maturo … molti se ne vanno, rifiutano il rimanere e preferiscono le vie facili che essi stessi si creeranno; sì, vie in cui la fame e la sete resteranno ma che sono vie rassicuranti e “a basso prezzo” …

L’Evangelo qui deve registrare un fallimento? Umanamente sì. I seguaci si assottigliano … ma questo assottigliamento non è un fallimento per l’Evangelo … è prodotto dall’Evangelo stesso! L’Evangelo ha mostrato la sua qualità di spada tagliente che fa verità e non ammette mezze misure! I discepoli che a Cafarnao vanno via mostrano che l’Evangelo è una luce che manifesta la verità profonda dei cuori degli uomini: non tutti hanno la maturità e il coraggio di rimanere! È questa l’esperienza che nella Comunità cristiana si fa di continuo: quanti sono andati via! Ma anche chi resta sente forte – e come! – il richiamo del mondo a fare passi indietro! L’Evangelo, però, è annunzio di una forza d’attrazione che viene dal Padre e a cui bisogna solo arrendersi Questa forza d’attrazione è quel “sogno” del Padre che mormora nel cuore degli uomini il suo “rimani e avrai la vita” che oggi ascoltiamo …

Anche nel testo del Libro di Giosuè, che oggi apre la liturgia della Parola, giunti alla Terra Promessa, gli Israeliti sono invitati da Giosuè a fare una scelta: «Scegliete oggi chi volete servire», chiede Giosuè e, con una grande libertà, dopo tutte le fatiche dell’Esodo e del tempo del deserto, apre alla possibilità che alcuni, o tanti, possano andare per altre vie … Giosuè lì, nella Terra della Promessa, vuole uomini liberi, liberi davvero … tutta la vicenda dell’Esodo era stata una liberazione da una schiavitù e ora nessuno deve tornare schiavo, sia pure della fede nel Dio dei padri. Notiamo che Giosuè usa il verbo “servire” e il testo che abbiamo letto lo ripete per ben quattordici volte (numero di pienezza e di perfezione in quanto sette per due) che non ha, nella Bibbia, un’accezione servile; indica invece l’adesione libera e gioiosa al progetto del Signore, tanto che servo è il titolo delle massime figure della Scrittura, da Abramo a Mosè, da Giosuè a David, ai profeti e fino a quel Servo del Signore cantato nel Libro di Isaia; nel Nuovo Testamento serva è Maria e servo è detto anche Gesù (cf. At 3,13;4,27).

Insomma, bisogna scegliere se rimanere e dunque chi servire.

Gesù, come Giosuè, dinanzi alle defezioni di tanti discepoli “spalanca” le porte della libertà, non incatena con vincoli meramente “affettivi”, non fa ricatti morali … che sovrana libertà la sua: «Volete forse andarvene anche voi?»! Queste parole suonano come un consenso a che se ne vadano, sono come il gesto di chi spalanca una porta perché ci sia possibilità reale di libertà e quindi anche di “fuga”!

Credo che per tutti i credenti scocchi l’ora in cui, dinanzi alle aspre domande dell’Evangelo, dinanzi ai brucianti fallimenti mondani del discepolato (chi segue Gesù non sarà mai un vincente per il mondo!), questa domanda di Gesù risuona con tutta la sua forza per rendere possibile ogni libera e matura adesione …

Pietro qui apre il cuore al “sogno” incomprensibile di Gesù … a cosa dice “sì” Pietro? A nulla! È, invece, più esatto dire: a chi dice “sì”? La risposta è semplice e grande: a Gesù! Solo a Gesù! Pietro sceglie Gesù e qui lo sceglie davvero e non perché è un Rabbi di successo (qui, dopo il discorso sul Pane di vita il successo è finito!) e non perché fa segni straordinari (non assicurano il successo a lunga durata: Gesù morirà in croce nonostante i segni!) ma perché “ha parole di vita eterna” … solo Lui le ha!

Pietro ha compreso che Gesù ha finalmente detto nel mondo parole che “profumano” pienamente di Dio e che conducono dove tutto prende senso, Pietro ha intuito che Gesù è “altro” … Pietro gli ha infatti detto «Tu sei il santo (cioè “altro”) di Dio!». Pietro non capisce di più … non ha capito tutto quello che Gesù ha detto sul Pane di vita ma ha fissato lo sguardo su Gesù e non su altro … e allora rimane!

Il Quarto Evangelo è straordinario … così critico nei confronti di Pietro, qui riconosce che proprio Pietro fu il primo a decidere quel “rimanere” che, per Giovanni, è l’esigenza radicale e terminale di ogni discepolato!

Certo, come per noi, la decisione del “rimanere” passa per le vie di incomprensione, di buio, di peccato e anche di tradimento ma, se quella decisione è piena e matura, alla fine si sa con certezza che non si potrebbe andare altrove: «Da chi andremo?».

E si resta. E allora davvero tutto diventa possibile!

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