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L’estate sta finendo. Sindrome da “rientro”: la cura è nella gratitudine per quanto vissuto

Il primo temporale, le code in autostrada: i segni di un ritorno alla normalità e quella sensazione che la vacanza sia passata troppo in fretta o non sia stata sufficientemente riposante. Con quale atteggiamento affrontare la quotidianità?

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Foto di gianfilippo maiga da Pixabay

Giovanni M. Capetta – Quando in montagna, ma anche al mare, si scatena improvviso il primo temporale e di solito si abbassano repentinamente le temperature è un segnale che l’estate stia volgendo al termine. Per molti di noi ciò significa che anche le vacanze stanno finendo e non mancano a ricordarcelo pedissequamente i consueti servizi giornalistici in tv sui cosiddetti “contro-esodi”. Ovviamente le reazioni a questo dato di fatto cambiano da persona a persona, secondo le diverse sensibilità: qualcuno inizia un tacito quanto implacabile conto alla rovescia, qualcun altro si sbizzarrisce come se non ci fosse un domani… Più di consueto si può diffondere fra i componenti della famiglia una sottile e mal celata malinconia condivisa. Come se fosse una grave ingiustizia che le ferie tanto agognate siano già agli sgoccioli! Quanto più si è atteso quel periodo di svago o riposo, tanto più, spesso, ci pare che si sia dileguato in un attimo. Avviene dopo un intenso viaggio in luoghi che non conoscevamo e hanno appagato il nostro desiderio di nuove esperienze e conoscenze, ma capita anche dopo il succedersi di giorni quieti e sereni nelle località di villeggiatura che ci ospitano abitualmente. Le sindromi “da rientro” sono un argomento ricorrente sia del sentire comune, sia in ambito medico-scientifico. È vero: spesso, può sembrarci di non esserci riposati abbastanza, oppure un imprevisto può aver guastato il nostro bilancio, ma se riflettiamo e andiamo oltre la prima reazione istintiva, dobbiamo riconoscere che non c’è mai un motivo legittimo per lamentarci. Si tratta evidentemente di coltivare quell’onestà intellettuale e quella pace interiore tali da farci dire che tutto ciò di cui abbiamo goduto non è mai da considerarsi qualcosa di scontato, ma piuttosto un dono grande da mettere a frutto. Il tempo delle vacanze, come suggerisce la stessa radice etimologica della parola, è un “vuoto” da riempire di significato in vista della ripresa della vita ordinaria. Le vacanze non sono mai un fermarsi fine a se stesso, ma una pausa per ricominciare con nuovo slancio e motivazioni rinnovate. Possono essere oggetto di bellissimi ricordi, ma dovrebbero essere aliene dai rimpianti. Del resto è proprio nella ferialità dei giorni che siamo chiamati a interpretare pienamente i nostri stati di vita ed è nel quotidiano che possiamo meglio testimoniare i valori in cui crediamo. Non c’è nulla di più convincente – sicuramente più di tanti discorsi – della nostra perseveranza: è essa che ammanta di verità e di significato ogni nostra fatica, sia fra le mura domestiche che nelle attività fuori casa.

Infine, al termine di un periodo più o meno esteso di vacanze, tornando nelle nostre città non capita solo di scambiarsi racconti con chi ha avuto il nostro stesso privilegio, spesso incontriamo persone che non si sono mai mosse da casa per i più diversi motivi. Sono anziani, persone ammalate e chi li accudisce, semplicemente chi economicamente non ha possibilità per partire. È ancor più a loro che dobbiamo un sorriso quando torniamo alla routine di un nuovo anno scolastico o lavorativo. Un modo semplice ma significativo per allargare le maglie delle nostre famiglie, offrire un abbraccio a chi ha subito la solitudine delle città vuote e idealmente saper dire con generosità: “siamo tornati!”.

Fonte SIR

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