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Commento al Vangelo domenica 15 settembre, “Ma voi, chi dite che io sia?”, la grande domanda di Gesù

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di Padre Gianpiero Tavolaro
Comunità Monastica di Ruviano (Clicca)

XXIV domenica del Tempo ordinario – Anno B
Is 50,5-9a; Sal 114; Gc 2,14-18; Mc 8,27-35

Al cuore del suo evangelo, Marco pone ancora la grande domanda su Gesù, quella più essenziale: «Voi chi dite che io sia?». È la domanda circa l’identità di Gesù: domanda di fronte alla quale viene posto ogni discepolo che, esattamente come coloro i quali – stando alla narrazione descritta nella prima parte dell’evangelo – avevano avuto modo di fare esperienza della exousía di Gesù, sono invitati a non “ridurre” il Nazareno a quella autorità, per quanto anche in essa e tramite essa egli abbia comunicato qualcosa della propria identità.

La domanda circa l’identità di Gesù era già risuonata in tutta la prima parte del racconto di Marco, da parte della gente (1,22.27), da parte dei nemici per cui è un bestemmiatore (2,7), da parte dei discepoli attoniti sulla barca dopo la tempesta sul lago (4,41) e da parte dei suoi concittadini che non riescono a vedere nell’ordinarietà di Gesù la verità della sua pretesa (6,1-6): perfino Erode Antipa si era chiesto chi fosse Gesù e presuntuosamente si era dato anche la sua risposta superstiziosa (6,14-16).

Ancora qui, al capitolo 8, le risposte della gente circa l’identità di Gesù sono vaghe e generiche: sono riletture di Gesù a partire dal passato («Giovanni il Battista… Elia… uno dei profeti»). Gesù rivolge la domanda ai suoi, a quelli che gli sono più intimi e dei quali, al capitolo 6, viene detto che erano fortemente meravigliati «perché non avevano compreso il fatto dei pani: il loro cuore era indurito» (6,52).

Alla domanda di Gesù, Pietro risponde in modo “formalmente” corretto: Gesù è il Cristo. Gesù acconsente a quella risposta, ma chiede – come di frequente fa nell’evangelo di Marco – di non dire alla gente quella parola, perché è la verità, ma è una verità che può essere mal compresa, se compresa a partire dalle proprie attese.

E così Gesù inizia ad annunziare la via della croce: egli è sì il Cristo, ma lo è in modo totalmente altro rispetto alle attese di coloro che gli vanno dietro o lo cercano. E proprio per “correggere” le possibili, false immagini di Gesù, che ci si può formare a partire dai prodigi da lui compiuti e dalla efficacia della sua predicazione, l’Evangelo, da questo momento in poi, annuncia e rivela la via della croce, come l’unica vera via attraverso la quale l’exousía di Gesù può essere correttamente intesa.

Gesù stesso, dal canto suo, ha dovuto comprendere, non senza paura e tremore, che l’unica via da imboccare per raccontare l’amore-altro di Dio era quella che il profeta Isaia aveva indicato, nella figura del servo sofferente.

Gesù annunzia così la sua passione con parresía, con franchezza, apertamente, senza temere di scandalizzare o di essere abbandonato.

Riconoscere in Gesù “il Cristo”, dunque, è esatto, ma incompleto: bisogna accogliere anche lo stile con cui egli vive la sua identità! Ma è proprio contro questo stile di spoliazione e di abbassamento che Pietro protesta, incapace di accettare fino in fondo il modo di Gesù di vivere la sua identità più profonda.

Pietro, dunque, deve spogliarsi dell’uomo vecchio che pretendeva di costruire il Regno di Dio restaurando con la forza il regno davidico contro l’impero di Roma… deve lasciare il proprio progetto per seguire davvero quello di Gesù. Se nella sua chiamata al lago, Gesù gli aveva chiesto di lasciare delle cose (le reti, la barca), qui gli chiede di lasciare i propri progetti, la propria visione delle cose e del mondo.

Con estrema durezza, Gesù lo chiama satana, perché in Pietro parla colui che lo aveva tentato nel deserto allo scopo di distoglierlo dal progetto del Padre: proprio Satana, infatti, gli aveva chiesto di essere un Messia dai gesti clamorosi e ripiegato sui propri bisogni… in realtà sia Satana che Pietro cercano di impedirgli di fare la sua strada, quella che coincide con la volontà del Padre.

Gesù chiede a Pietro di tornare al suo posto di discepolo: «Va’ dietro a me, Satana!». Solo tornando al proprio posto di discepolo, Pietro non sarà più satana, perché non pretenderà più di indicare la strada a Gesù ponendosi davanti a Lui come inciampo. Se tornerà al suo posto di discepolo imparerà a seguire il Maestro e a non sostituirsi a Lui nel fare progetti: imparerà a non pensare più secondo gli uomini, ma secondo Dio.

Quando Pietro avrà imparato questo, seguirà Gesù fino alla croce, fino a lasciarsi egli pure crocefiggere per Lui… intanto, però, deve ascoltare il Signore che parla con parole intollerabili: «E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso».

Chi vuole essere discepolo di Gesù di Nazareth deve passare attraverso il sonno del Gethsemani, attraverso la fuga, attraverso i rinnegamenti, attraverso la paura che impedisce di salire al Golgotha: passando per queste vie fallimentari, il discepolo diventerà un discepolo autentico, perché capirà che Cristo lo si incontra solo quando si assume la debolezza, quando si riconosce di essere impotenti e poveri, quando si ammette che da soli non si può neanche accedere alla fede.

Altre vie sono “diaboliche”, perché separano, dividono da Cristo.

 

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