Noemi Riccitelli – Un’apertura dalle sfumature dark per l’81ª edizione della Mostra del cinema di Venezia, ma in ogni caso brillante: infatti, il regista Tim Burton ha inaugurato il Festival con la sua ultima creazione: Beetlejuice Beetlejuice, seguito del film cult del 1988, Beetlejuice, ai cui iconici protagonisti Michael Keaton, Winona Ryder e Catherine O’Hara, si sono uniti Jenna Ortega, Monica Bellucci e Willem Dafoe.
Il film, presentato fuori concorso a Venezia, è in sala dal 5 settembre e la sceneggiatura porta la firma di Alfred Gough e Miles Millar, già collaboratori di Burton per la celebre serie Netflix Mercoledì (qui la recensione di Clarus).
Lydia Deetz (Winona Ryder) e la sua matrigna Delia (Catherine O’Hara), eccentrica artista, ritornano nella casa in cui hanno vissuto in passato a Winter River.
Lydia è diventata una presentatrice TV in uno show che tratta il soprannaturale, questa attività l’ha però allontanata dalla figlia adolescente Astrid (Jenna Ortega), la quale mal sopporta il lavoro della madre e il nuovo compagno, suo manager, Rory (Justin Theroux).
Tuttavia, un peculiare episodio che coinvolge proprio la giovane Astrid induce Lydia a chiedere l’aiuto del famigerato Beetlejuice (Michael Keaton), anche lui nei guai per via del suo passato.
È Burton, bellezza! Viene da dire guardando Beetlejuice Beetlejuice: infatti, il secondo capitolo della summenzionata pellicola del regista è un manifesto dell’estro e dell’ispirazione di un maestro del genere gotico, dark.
Inoltre, la trama del film, non particolarmente complessa, appare ben più interessante e coinvolgente rispetto all’intreccio del suo predecessore.
Ironia, omaggi d’autore e sentimento sono le direttrici lungo cui la pellicola si muove: infatti, alcune sequenze regalano una genuina e morbida risata; evidenti e curati sono i riferimenti al genere horror, in particolare al regista italiano Mario Bava (ma Burton cita anche sé stesso!), infine, la riflessione sulla morte, i defunti e l’aldilà reca inevitabilmente con sé una dose di sentimentalismo, non eccessiva, ma quanto basta per veicolare un messaggio positivo.
Il cast, tutto, sublima il lavoro di Tim Burton, delineando i profili dei vari personaggi con il giusto spirito che un film così, tra il fantastico e l’assurdo, richiede: tra le new entry, la giovane Jenna Ortega ben gestisce la scena con i suoi più maturi comprimari, Willem Dafoe non sembra mai fuori posto, ma sempre in grado di dare il quid in più ai progetti cui partecipa e, poi, Monica Bellucci, la quale pur proferendo poche battute, dà vita ad un personaggio che, probabilmente ne ricorda o, magari, è consapevole omaggio ad un altro celebre della filmografia burtoniana, per il quale risulta, non a caso, perfetta.
Michael Keaton, Winona Ryder e Catherine O’Hara riprendendo i loro storici ruoli si fanno depositari, insieme a Burton, di una storia che ha saputo rinnovarsi con un nuovo brio, senza rinunciare ad un tradizionale marchio di fabbrica, specie nei lavori del regista: la tecnica della stop-motion.
Infatti, Burton ha conservato il tipico tratto della sua fantasia, preservando l’artigianalità e la perizia dell’arte cinematografica, scegliendo di animare il film con creature non realizzate tramite CGI (computer-generated imagery), ma prodotte fisicamente e manipolate con pazienza per rendere l’effetto dell’animazione.
Bettlejuice Bettlejuice è un sequel ben realizzato, che riesce ad intrattenere con piacere, lasciandosi seguire con semplicità anche da quanti non hanno visto il film precedente: una confezione artistica peculiare che resiste al tempo e possiede tutto il fascino e l’emozione dei film “di genere” del passato.