Paolo Bustaffa – Due milioni in Italia e cinquantacinque milioni nel mondo sono le persone affette dal morbo di Alzheimer. Sabato 21 settembre si è celebrata la Giornata mondiale per tenere desta l’attenzione delle istituzioni e dei cittadini su questa fragilità che con altre chiede alla politica e alla società un supplemento di serietà e di realismo. La Giornata è sempre un momento importante ma la loro forza spesso si diluisce dopo le 24 ore e le persone fragili con le loro famiglie tornano nella solitudine, nella fatica, nella sofferenza.
Un dato preoccupante emerso in questa Giornata è che in generale sono sempre meno i medici e gli infermieri e ancor meno sono quelli disponibili per la cura di questi malati. Una conferma viene dal test di accesso al corso di laurea di infermieristica a Trento dove su 200 posti disponibili le domande sono state 140. Anche altrove i dati si ripetono anche in misura più rilevante lasciando aperti molti interrogativi.
Cosa fa ritenere questa professione di poco valore? Quali le cause del venire meno di sensibilità umane e sociali, lo scarso investimento delle istituzioni in questo settore? Come, d’altra parte, si spiega e si giustifica l’affievolimento di interesse da parte dell’opinione pubblica per coloro che sono ai margini della società, non producono e non consumano? Perché…
Una buona notizia è che dal 14 al 16 ottobre in Umbria si terrà il primo G7 (forum intergovernativo composto da Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti ) sull’Inclusione e sulla Disabilità che punterà a suscitare nelle istituzioni e nei cittadini la consapevolezza che le fragilità non sono solo problemi di alcuni ma sono sfide che investono l’intera società mettendo a prova la sua umanità.
“La dignità della persona – scrive su Avvenire del 19 settembre Francesca Di Maolo, presidente dell’Istituto Serafico di Assi – passa attraverso la cura, certo. Ma non si esaurisce in essa. È necessario garantire anche una dimensione sociale e affettiva perché tutti hanno diritto alla piena partecipazione alla vita sociale”.
É un pensiero che nasce da una intensa relazione con persone fragili, viene da una prossimità che spezza le catene della solitudine e non ricorre ad appellativi come “poverini, poveretti, infelici”. Aggettivi che sono nel vocabolario dell’ipocrisia ma non in quello della tenerezza. Christian Bobin chiude un piccolo libro dal titolo “Presenze” (“La presence pure” in francese) con questa immagine: “Alcuni fiori vendemmiati dalla pioggia notturna sono caduti su un tavolo del giardino della casa di lungodegenza. Mio padre li guarda. Ha negli occhi una luce che nulla deve alla malattia: bisognerebbe essere un angelo per decifrarla”. C’è della poesia ma ancor più c’è della verità.