Giovanna Corsale – Il Monastero di Santa Croce in Pignataro Maggiore ha fatto da cornice al ritiro spirituale delle religiose e delle monache delle diocesi di Teano-Calvi, di Alife-Caiazzo e di Sessa Aurunca, svoltosi domenica 22 settembre, il primo di una serie di appuntamenti che avranno come motivi portanti la formazione e la preghiera e che si terranno in luoghi diversi delle Diocesi. A guidare l’incontro don Luca Conforto e padre Paolo D’Alessandro, direttori degli Uffici per la Vita Consacrata rispettivamente per la diocesi di Teano-Calvi e Sessa Aurunca, e don Emilio Salvatore, vicario episcopale per la Formazione, la Cultura e le Comunicazioni delle tre Chiese dell’Alto Casertano.
“Don Emilio ci ha parlato della ‘profezia del mandorlo‘ citando anche altri passi del profeta Geremia e invitando a saper leggere questo tempo storico senza rammarico per tutto ciò che è stato perduto nel tempo e guardando piuttosto al nuovo che ci è offerto e che viene espresso proprio nel mandorlo che è il primo albero che fiorisce annunciando la primavera”. Le parole delle sorelle Clarisse, le quali hanno ospitato il ritiro, si riferiscono appunto al passo tratto dal libro del profeta Geremia a cui si richiama la riflessione guidata da don Emilio Salvatore. Manifestatasi in un momento di crisi, ossia poco prima dell’esilio babilonese, la vocazione di Geremia si distingue per la sua “forma dialogica”, ossia in quanto si esplica attraverso un confronto continuo con Dio.
Formare, plasmare, conoscere, consacrare, stabilire per una missione sono i verbi in cui si concretizza la volontà di Dio per i suoi figli “chiamati” ad evangelizzare i popoli e ai quali se ne affianca un altro, ossia vigilare. Il senso della vocazione di Geremia, così come di ogni consacrato, confluisce proprio in quest’ultimo verbo, come sottolinea don Emilio, in quanto in esso si incarna l’atto del vigilare compiuto dal Signore affinché la Parola di salvezza si realizzi nella Storia. “Mi fu rivolta questa parola del Signore: “Che cosa vedi, Geremia?”. Risposi: “Vedo un ramo di mandorlo“. Il Signore soggiunse: “Hai visto bene, poiché io vigilo sulla mia parola per realizzarla“. (Ger 1,11): è l’immagine del mandorlo – dall’ebraico ‘colui che veglia’ perché è il primo albero a risvegliarsi dal torpore invernale – ad indicare l’attenzione al nuovo.
Il mandorlo sta a simboleggiare la gioia, lo stupore, tutto ciò che significa vita, che non si spegne dietro le grate di un monastero, ma anzi si rafforza attraverso l’amore casto, quello capace di “liberarsi dal rammarico del proprio sé”, come sottolinea don Emilio, per diventare incessante ricerca del Regno di Dio. Sul piazzale antistante il Monastero di Santa Croce c’è una pianta di mandorlo (nella foto a sinistra) che per le clarisse è sempre oggetto di ammirazione, perché da esso trasuda primavera, freschezza, novità… Ai religiosi e alle religiose, dunque, don Emilio chiede di farsi profeti di “libertà, di creatività che guarda al Regno“, capace di spezzare le catene dell’egoismo ed “entrare nella logica della novità di Dio”. Suore, frati, clarisse, monache, insomma tutti i consacrati devono saper comunicare a quanti incontrano sul loro cammino ogni tempo nuovo della Chiesa, perché sono parti integranti delle comunità ecclesiali, ma soprattutto testimoni del cambiamento necessario, di “apertura verso il Regno di Dio”.
Alla meditazione è seguita l’adorazione eucaristica e il sacramento della riconciliazione; la giornata si è conclusa con la preghiera dei Vespri e un momento di convivialità.