M. Michela Nicolais – “La Chiesa è sempre Chiesa dei poveri in spirito e dei peccatori in ricerca di perdono, e non solo dei giusti e dei santi, anzi dei giusti e dei santi che si riconoscono poveri e peccatori”. Lo ha ribadito Papa Francesco, nell’omelia della Veglia presieduta nella basilica di San Pietro a conclusione del ritiro in preparazione alla seconda sessione del Sinodo dei vescovi, che si aprirà domani. Al cuore della Veglia, l’atto penitenziale scritto dal Santo Padre e letto da sette cardinali “perché era necessario chiamare per nome e cognome i nostri principali peccati”, ha spiegato Francesco: “Il peccato è sempre una ferita nelle relazioni: la relazione con Dio e la relazione con i fratelli e le sorelle. Nessuno si salva da solo, ma è vero ugualmente che il peccato di uno rilascia effetti su tanti: come tutto è connesso nel bene, lo è anche nel male. La Chiesa è nella sua essenza di fede e di annuncio sempre relazionale, e solo curando le relazioni malate, possiamo diventare una Chiesa sinodale”.
“Come potremmo essere credibili nella missione se non riconosciamo i nostri errori e non ci chiniamo a curare le ferite che abbiamo provocato con i nostri peccati?”, si è chiesto il Papa, secondo il quale “la cura della ferita comincia confessando il peccato che abbiamo compiuto”.
“Quante volte nella Chiesa ci comportiamo in questo modo? Quante volte abbiamo occupato tutto lo spazio anche noi, con le nostre parole, i nostri giudizi, i nostri titoli, la convinzione di avere soltanto meriti?”, il commento alla parabola del fariseo e del pubblicano: “Noi oggi siamo tutti come il pubblicano, abbiamo gli occhi bassi e proviamo vergogna per i nostri peccati. Come lui, rimaniamo indietro, liberando lo spazio occupato dalla presunzione, dall’ipocrisia e dall’orgoglio”.
“Non potremmo invocare il nome di Dio senza chiedere perdono ai fratelli e alle sorelle, alla terra e a tutte le creature”, l’appello: “Cominciamo questa tappa del Sinodo, e come potremmo essere Chiesa sinodale senza riconciliazione? Come potremmo affermare di voler camminare insieme senza ricevere e donare il perdono che ristabilisce la comunione in Cristo?”. “Il perdono, chiesto e donato, genera una nuova concordia in cui le diversità non si oppongono, e il lupo e l’agnello riescono a vivere insieme”, la tesi di Francesco: “Di fronte al male e alla sofferenza innocente domandiamo: dove sei Signore? Ma la domanda dobbiamo rivolgerla a noi, e interrogarci sulle responsabilità che abbiamo quando non riusciamo a fermare il male con il bene”.
“Non possiamo pretendere di risolvere i conflitti alimentando violenza che diventa sempre più efferata, riscattarci provocando dolore, salvarci con la morte dell’altro”, il riferimento all’oggi: “Come possiamo inseguire una felicità pagata con il prezzo dell’infelicità dei fratelli e delle sorelle? E questo vale per tutti”. Alla vigilia dell’inizio dell’Assemblea del Sinodo, “la confessione è un’occasione per ristabilire fiducia nella Chiesa e nei suoi confronti, fiducia infranta dai nostri errori e peccati, e per cominciare a risanare le ferite che non smettono di sanguinare, spezzando le catene della malvagità”.
“Noi abbiamo fatto la nostra parte, anche di errori”, il mea culpa del Papa: “Continuiamo nella missione per quello che possiamo, ma ora ci rivolgiamo a voi giovani che aspettate da noi il passaggio di testimonianza, chiedendo perdono anche a voi se non siamo stati testimoni credibili”.
“Chiedo perdono per il peccato di mancanza del coraggio necessario alla ricerca di pace tra i popoli e le nazioni”, ha detto il card. Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay, prendendo la parola prima delle testimonianze: “Ancora più grave è il nostro peccato, se per giustificare la guerra e le discriminazioni, invochiamo il nome di Dio”. “Chiedo perdono per quando non abbiamo riconosciuto il diritto e la dignità di ogni persona umana, discriminandola e sfruttandola”, le parole del card. Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il Servizio umano integrale: “per quando abbiamo preso e prendiamo parte alla globalizzazione dell’indifferenza di fronte alle tragedie che trasformano per tanti migranti le rotte del mare e i confini tra nazioni da via di speranza a via di morte. Il valore della persona è sempre superiore a quella del confine”.
“Chiedo perdono, per tutte le volte che noi fedeli siamo stati complici o abbiamo commesso direttamente abusi di coscienza, abusi di potere, e abusi sessuali”, ha detto il card. Seán Patrick O’Malley, arcivescovo emerito di Boston: “per tutte le volte che abbiamo usato la condizione del ministero ordinato e della vita consacrata per commettere questo terribile peccato, sentendoci al sicuro e protetti mentre approfittavamo diabolicamente dei piccoli e dei poveri”.
Il card. Kevin Joseph Farrell, prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita , ha chiesto invece perdono “per tutte le volte che non abbiamo riconosciuto e difeso la dignità delle donne, per tutte le volte che abbiamo giudicato e condannato prima di prenderci cura delle fragilità e ferite della famiglia, per tutte le volte che abbiamo rubato la speranza e l’amore alle giovani generazioni, per tutte le volte in cui abbiamo preferito vendicarci, anziché impegnarci nella ricerca della giustizia, abbandonando chi sbaglia nelle carceri e ricorrendo all’uso della pena di morte”.
“Chiedo perdono per tutte le volte che abbiamo dato giustificazione dottrinale a trattamenti disumani”, le parole del card. Victor Manuel Fernandez, prefetto del Dicastero per la dottrina della fede. “Chiedo perdono per l’inerzia che ci trattiene dall’accogliere la chiamata a essere Chiesa povera dei poveri”, il mea culpa del card. Cristobàl Lopez Romero, arcivescovo di Rabat. “Chiedo perdono – ha concluso il card. Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna – per quando abbiamo trasformato l’autorità in potere, soffocando la pluralità, non ascoltando le persone”.